La prima porcellana europea nasce a Dresda, alla corte di Augusto II il Forte, Re di Polonia ed Elettore di Sassonia, grazie al genio del chimico Johann Friederich Bottger. La passione per l’oro bianco conquista il sovrano, che ammassa costosissime porcellane orientali nel suo Palazzo di Dresda e fonda per il suo piacere la fabbrica di Meissen.
Uno dei suoi ministri più fidati è un piemontese, della nobile famiglia dei Taparelli: Pietro Roberto, conte di Lagnasco, generale di cavalleria, cavaliere dell’Aquila bianca, ambasciatore all’Aia, a Roma e a Vienna. Figlio cadetto, aveva cercato fortuna fuori dal ducato sabaudo, e la carriera militare l’aveva portato prima a servire il principe Eugenio di Savoia a Vienna, poi la corte sassone.
La porcellana di Meissen diventa in quegli anni il dono diplomatico per eccellenza: costoso, raffinato, prestigioso. Gli uomini dell corte e gli ambasciatori stranieri fanno a gara per averla. Nel Museo di
Palazzo Madama si conservano alcuni preziosi esemplari, frammenti di più grandi servizi dispersiin vari musei delmondo: una tazzina con piattino dipinti da Johann Gregorius Hoerold, con stemma e cifre di
Vittorio Amedeo II di Savoia; un piatto con l’arme del marchese d’Ormea,Carlo Francesco Ferrero, ministro di Carlo Emanuele III di Savoia; un piatto dello straordinario servizio creato per l’imperatrice Elisabetta di Russia.
Al culmine del successo personale, Pietro Roberto riceve dal re ( ottiene di far produrre a Meissen) uno specialissimo servizio da tè e da cioccolata. Il decoro è semplice ma potente: un bordo con i colori araldici blu, rosso e oro, unico per Meissen; fiori in stile kakiemon, sparsi a piccoli mazzi o singoli; e, su tutto, dominante, lo stemma dei Taparelli (partito, controfasciato d’argento e di rosso). Le cronache del tempo raccontano come al trattato di Utrecht Pietro Roberto si fosse presentato vestito proprio con i
colori dell’arma: d’argento e di rosso.
Alla morte di Pietro Roberto, avvenuta in Slesia, il servizio passa nelle mani del nipote Carlo Francesco, ecclesiastico, anch’egli ministro plenipotenziario peril resassone presso il Papa a Roma. Nel palazzo in piazza San Carlo ai Catinari, un antico inventario rivela che le porcellane sono custodite in una credenza del guardaroba (43 pezzi, non uno in più di oggi). Nel 1779, alla sua morte, Carlo Francesco lasciain eredità al nipote Carlo Roberto i quadri di famiglia e le porcellane sassoni con lo stemma dei Taparelli.
Le casse partono per Torino, e le porcellane vengono sistemante nel palazzo di famiglia in contrada d’Angennes, nella celebre “camera gialla”, quella della marchesa madre, dove nascerà anni dopo Massimo d’Azeglio.
Nell’aprile del 1843, Massimo, su consiglio della cognata Costanza Alfieri di Sostegno, ritrae una delle tazzine da cioccolata in un suo delizioso quadretto di fiori. Dentro la tazzina, un tulipano, che suggerisce il nome dell’ultimo protagonista di questa storia: Emanuele d’Azeglio. Il fiore era infatti nato da un bulbo che dall’Olanda egli aveva spedito alla madre.
Emanuele è diplomatico del Regno di Sardegna, poi ministro plenipotenziario del Regno d’Italia a Londra, è un collezionista, un amatore d’arte, e ha la passione perla storia. Ricostruiscenegli anni la storia
della famiglia Taparelli e riconduce le porcellane all’avo divenuto sassone d’elezione. Il suo destino si incrocia e si sovrappone a quello del Museo Civico torinese, di cui diventa direttore negli ultimi dieci anni della sua vita e a cui dona le sue straordinarie raccolte di ceramiche e di vetri dipinti e dorati.
Non donerà al museo le porcellane con l’arme dei Taparelli, che lascerà all’erede designato, Salvatore di Villamarina, ma l’idea di mantenere in seno alla famiglia quei cimeli si rivelerà perdente, perché il patrimonio sarà in realtà via via dismesso.
Il filo che lega i Taparelli d’Azeglio e Torino al servizio, si spezza nel 1903 quando il marchese di Villamarina lo mette in vendita. Da quel momento se ne perdono le tracce.
Dopo tante peregrinazioni, il servizio è ora riemerso sul mercato antiquario, a Londra. Un’errata attribuzione dello stemma, dovuta alla scritta sulla custodia di reimpiego, lo assegnava a una famiglia ligure, gli Spinola, e non ai Taparelli.
Consapevole della sua importanza come testimone di un passato glorioso e illustre, Palazzo Madama si impegna quindi nella difficile impresa di acquistarlo e di riportarlo nella città che ha visto la famiglia d’Azeglio farsi protagonista dell’età risorgimentale. Un gesto che impegna ciascuno di noi nei confronti della storia.