RON HOWARD A ROLLING STONE“DEVO
ANCORA RINGRAZIARE SPIKE LEE CHE MI HA
SEGNALATO PIERFRANCESCO FAVINO PER
RUSH”
L’epoca ingenua della F1 è quella fatta di amicizia e
sfide, che Ron Howard racconta in “Rush”, la sua nuova pellicola dedicata alla
competizione tra James Hunt e Niki Lauda, nei cinema dal 19 settembre. Il
regista lo spiega nei dettagli all’edizione italiana di Rolling Stone, che
dedica al film la copertina del numero in edicola dal 30 agosto.
Lauda e
Hunt, insieme, permettono di indagare ogni aspetto dell’essere umano: violenza,
ambizione, amore, sesso, carne e spirito. In due sono uno. Per quanto siano
importanti le individualità, credo che questa interpretazione sia molto
interessante. Durante la lavorazione, Peter Morgan (lo sceneggiatore, che già
ha lavorato con Howard per Frost/Nixon – Il duello, ndr) è stato attratto
dalla rivalità fra due caratteri a loro modo straripanti. E credo che la
crescita dei due personaggi, a prescindere da un’amicizia più o meno vera, si
basi proprio sulla loro connessione. Per me Rush racconta di quanto lontano si
sia disposti a correre per riempire i propri vuoti e per diventare quello che si
è sempre sognato di essere. Hai dichiarato che Rush descrive l’età rock della
F1. Eppure la concorrenza è elemento fondante della decade successiva. Altro che
rock, nel film Lauda parla di business… Vero, ma come Hunt nemmeno lui era
un brand, cosa invece comune ai piloti odierni. Negli anni ’70, mossi
dall’incendio culturale del rock&roll, si parlava liberamente durante le
interviste, si voleva fottere l’establishment, vestirsi senza restrizioni,
esprimere se stessi. Poi è successo che tutti quegli impeti eversivi si sono
rivelati un sacco lucrosi. Persone che avevano rappresentato gli ideali più
radicali, anche alla luce delle conseguenze funeste di certi eccessi, hanno
cominciato a dirsi: ma perché dovrei fare la fine di Belushi senza godermi la
montagna di soldi che sto facendo? Ecco, Rush racconta gli anni appena
precedenti: l’ultima epoca davvero ingenua. In quale dei due caratteri ti
ritrovi? Nel perfezionismo disumano di Lauda o nell’istinto quasi rabbioso del
suo avversario? Mi appartiene di più l’atteggiamento di Lauda, ma spero con
tutto me stesso di avere un po’ di Hunt, da qualche parte. Piuttosto, che mi
dici di Pierfrancesco Favino (che nel film interpreta Clay Regazzoni, ndr)?
È chiaro quanto apprezzo il suo lavoro? Me lo consigliò Spike Lee, e devo
ancora ringraziarlo per questo. Il risultato è un film in cui auto e pilota
formano un corpo unico, pulsante. È la vita. Anche l’incidente di Nurburgring è
così: non estetizzato, crudo. Volevamo che il film fosse realistico e
riportasse gli spettatori nel ’76. Per questo l’intervento registico sembra
discreto. Oltre alla fotografia, abbiamo utilizzato auto d’epoca e materiale
d’archivio. L’incidente che Hunt vede in tv è la ripresa originale. Ma nessuno è
riuscito a distinguerla da quella ricreata sul set. Il motivo è semplice e
spiega anche l’utilizzo massiccio dei dettagli: c’è una connessione fisica e
forse emotiva fra pilota e auto. È fondamentale che lo spettatore la percepisca,
sentendosi come al volante. Quando Lauda dice di guidare col culo, va preso alla
lettera.