Milano 24 settembre 2013 – Il suo nome è Platelet-Derived Growth Factor-D ed è il responsabile della formazione del tessuto fibroso che facilita la crescita e la metastasi del tumore alle vie biliari. I ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e di Padova ne hanno scoperto il ruolo e hanno capito come inibirne l’azione.
Lo studio, pubblicato sul numero di settembre della rivista Hepatology dimostra che le cellule tumorali producono un fattore di crescita, chiamato appunto PDGF-D, che stimola il richiamo attorno alle masse neoplastiche di fibrolasti – responsabili della fibrosi tumorale – e di altre cellule mesenchimali, che sono in grado di favorire la crescita e la capacità invasiva delle cellule tumorali.
Alla ricerca, condotta nei laboratori diretti da Mario Strazzabosco presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia Interdisciplinare dell’Università di Milano-Bicocca, e nei laboratori di Luca Fabris del Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oncologiche e Gastroenterologiche dell’Università di Padova, è stata dedicata la copertina di Hepatology e un editoriale di accompagnamento.
I ricercatori ipotizzano che i farmaci in grado di interferire con la forazione del tessuto fibroso peritumorale potrebbero rallentare sia la crescita sia la metastatizzazione di questo tipo di tumore.
«Il colangiocarcinoma – spiega il professor Strazzabosco – rappresenta una delle più aggressive neoplasie maligne dell’apparto digerente. Si tratta di un tumore primitivo del fegato che origina dalle vie biliari, le strutture che servono a trasportare la bile dal fegato all’intestino. Il colangiocarcinoma risponde poco alla chemioterapia e l’intervento chirurgico, l’unica possibilità curativa, è proponibile in pochi pazienti, in quanto, al momento della diagnosi, sono spesso già presenti metastasi linfonodali. Capire quindi quali siano i meccanismi molecolari che favoriscono questa precoce metastatizzazione, è fondamentale per individuare nuovi bersagli e nuove strategie terapeutiche».
Una delle caratteristiche del colangiocarcinoma è la presenza all’ interno del tumore di aree di fibrosi molto estese, densamente popolate da cellule chiamate “fibroblasti associati al cancro” (CAF). «I “CAF” – dice il professor Fabris – nutrono le cellule tumorali cui inviano segnali cruciali che ne favoriscono la crescita e la disseminazione. Noi li abbiamo studiati e siamo riusciti a dimostrare che i CAF vengono richiamati dalle stesse cellule tumorali mediante la secrezione di un fattore di crescita, il PDGF-D, che agisce attivando una serie di segnali intercellulati, appartenenti alla famiglia delle Rho GTPasi e del JNK e per i quali sono noti inibitori specifici».
«Abbiamo potuto infatti dimostrare – aggiunge Massimiliano Cadamuro, co-autore dell’articolo di Hepatology – come il meccanismo di comunicazione tra cellule tumorali e CAF possa essere specificamente bloccato da farmaci in grado di inibire i vari segnali coinvolti. I nostri studi sulle ricadute terapeutiche di questa scoperta continueranno quindi con la prospettiva di trovare nuove possibilità di trattamento per questa forma di neolpasia».
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