Vassily Kandinsky Gelb‐Rot‐Blau (Giallo‐Rosso‐Blu) 1925 Olio su tela, cm 128 x 201,5 Donazione Nina Kandinsky, 1976 Philippe Migeat ‐ Centre Pompidou, MNAM‐CCI © Centre Pompidou, MNAM‐CCI / Philippe Migeat / Dist. RMN‐GP © Vassily Kandinsky by SIAE 2013 |
“Nella mia anima, la disintegrazione dell’atomo
equivaleva alla disintegrazione del mondo intero.”
Agli occhi di Kandinsky, ciò che viene a mancare, in quell’anno 1913 in cui Niels Bohr formula la sua teoria
della struttura atomica, sono anzitutto le apparenze della realtà: “Non mi sarei sorpreso”, osserva l’artista,
“se avessi visto un sasso dissolversi nell’aria davanti a me e diventare invisibile”. È anche il procedimento
scientifico stesso che si ritrova a essere messo radicalmente in discussione.
L’artista può forse immaginare, in quell’istante, che appena quarant’anni dopo quella scienza,
degenerando, farà precipitare l’umanità nell’abominio razionalista della soluzione finale e nell’orrore
nucleare di Hiroshima e Nagasaki? Di queste due tragedie avvenute nel cuore del XX secolo Kandinsky,
morto nel 1944, non ha potuto sapere; ma mi piace pensare che, nella sua folgorante lucidità d’artista, egli
ne abbia avuto il presentimento sin dagli albori del secolo, prima ancora della Prima guerra mondiale.
Di fronte al fallimento del materialismo e del razionalismo, egli ha allora voluto inventare degli “strumenti
superiori di percezione” per “parlare del mistero per mezzo del mistero”, delle armi magiche grazie alle
quali “l’uomo parla all’uomo del soprannaturale”: innalzare l’arte di fronte alla disfatta della scienza e della
materia che sfugge; ma innalzarla anche di fronte ai drammi della Storia, quei drammi tra i quali non ha mai
smesso di farsi strada Vassily Kandinsky, nato in Russia nel 1866 e, in quanto russo, costretto dallo scoppio
della Prima guerra mondiale a lasciare la Germania, cacciato dalla Russia dalla deriva del regime bolscevico,
tedesco cacciato dalla Germania dall’ascesa al potere del nazismo, per infine morire cittadino francese nella
Parigi appena liberata. Di queste tragedie, nulla sembra trapelare nella sua opera, giacché essa guarda al di
là del mondo e del tempo, al di là delle apparenze dell’universo visibile, per tradurre l’essenza stessa del
reale e così salvarlo dalla distruzione che lo minaccia. E tuttavia in questa eroica impresa appare un artista,
si trova un uomo di cui occorre oggi restituire l’intima coerenza.
Per rendere conto delle complesse scoperte della pittura astratta e del percorso personale che vi
s’intreccia, la curatrice della mostra Angela Lampe, conservatrice del Musée national d’art moderne del
Centre Pompidou, ha selezionato più di ottanta lavori, tra dipinti e opere su carta, che illustrano i periodi
principali della carriera dell’artista, tutti provenienti dal fondo Kandinsky, uno dei più cospicui al mondo. La
mostra documenta, così, il continuo arricchimento delle collezioni del Musée national d’art moderne, dalla
donazione iniziale di Nina Kandinsky al lascito dei fondi dello studio di Neuilly nel 1980, dalla donazione del
gallerista Karl Flinker nel 1994 alla costante generosità della Société Kandinsky. Questa intima retrospettiva
mette anche in luce la ricchezza del fondo Kandinsky, in particolare le fotografie, che permettono di
ricostruire un’avventura artistica straordinaria, dagli esordi a Monaco, con le audacie dell’astrattismo, alla
persistente influenza del Bauhaus e agli ultimi capolavori parigini.
Il clou della mostra è la presentazione del “Salon de réception” ideato da Kandinsky nel 1922 per la
Juryfreie Kunstausstellung al Glaspalast di Berlino; questo insieme di pannelli decorativi, ricostruito in
occasione dell’inaugurazione del Centre Pompidou nel 1977, da allora non era mai stato esposto fuori della
Francia.
Dunque, è a un evento raro che il pubblico italiano è invitato nelle prestigiose sale di Palazzo Reale, e tengo
a ringraziare particolarmente il Comune di Milano ‐ Cultura, Palazzo Reale, 24 ORE Cultura e Arthemisia
Group per questa esemplare collaborazione.
Alain Seban
Presidente del Centre Pompidou
_______________Vassily Kandinsky:
un’opera senza confini
Non sono molti gli artisti, e se è per questo nemmeno gli individui, che sono
diventati successivamente cittadini di tre diversi Stati. Vassily Kandinsky occupa
un posto particolare tra i numerosi artisti d’avanguardia che lasciarono i loro Paesi:
nato in Russia, è celebrato alla Bauhaus come tedesco ed è morto cittadino francese
nel 1944.
Anche se l’emissione di un nuovo passaporto era dovuta anzitutto a motivi
amministrativi, questo itinerario mostra di quali infl ussi si sia nutrita l’arte di Kandinsky,
e questo non soltanto durante i periodi in cui visse nei suddetti Paesi, ma
sin dall’inizio. Nel suo celebre testo autobiografi co Rückblicke, egli descrive tre
esperienze di decisiva scoperta e maturazione artistica, legate a ciascuna di queste
tre nazioni. Quando era ancora studente, un viaggio etnografi co di istruzione nel
governatorato di Vologda gli aveva lasciato una profonda impressione. Kandinsky
rimase affascinato dalle decorazioni popolari delle isbe; entrando in uno di quegli
spazi dipinti a colori vivaci, gli sembrava di mettere piede dentro la pittura stessa.1
Alcuni anni dopo, visitando una mostra sull’arte francese, fu sconvolto dalla visione
di uno dei Covoni di Claude Monet (fi g. 1) in quanto, pur non avendolo immediatamente
riconosciuto, era rimasto profondamente colpito da quell’“immagine”
quasi priva di soggetto. Nello stesso periodo una rappresentazione del Lohengrin di
Richard Wagner gli fece scoprire la forza pittorica dei suoni e la capacità dell’arte di
generare immagini interiori.2 Queste tre esperienze seminali – l’arte popolare russa,
la pittura francese moderna e l’opera tedesca – si completarono e si fecondarono vicendevolmente,
formando, per così dire, l’accordo di base dell’opera di Kandinsky.
La questione di quale Paese abbia avuto maggiore infl uenza sull’artista, ovvero,
come scrisse Nina Kandinsky a proposito dell’assegnazione dell’eredità del marito,
quale Paese potesse rivendicare l’opera di Vassily,3 appare piuttosto secondaria. Negli
ultimi anni, una serie di mostre ha dimostrato in modo convincente quanto siano
profonde le radici russe dell’autore de Lo spirituale nell’arte e quali stretti legami
egli abbia mantenuto, per tutta la vita, con la sua patria.4 È Kandinsky stesso ad attribuire
all’“immagine complessiva, interiore ed esteriore, di Mosca” un’importanza
fondamentale: la città è il suo “diapason pittorico”, scrive nel 1913.5 Al tempo stesso,
egli si sente anche “non-russo” e si ritiene russo solo a metà, essendo stato allevato
da una nonna baltica con canzoni e libri infantili tedeschi.6 In totale Kandinsky
visse per trent’anni in Germania, ove pubblicò i suoi scritti teorici più importanti
nella lingua di Goethe; tuttavia, sul fi nire della sua vita, in occasione di una grande
retrospettiva a Berna, venne presentato come “un maestro francese del presente”,
e la sua vedova alla fi ne decise di donare l’intero lascito al Centre Pompidou. Kandinsky
trovò nuovi stimoli per la sua produzione artistica in ciascuno dei tre Paesi
in cui visse. Nelle pagine seguenti si dirà quali furono questi stimoli, e quali incontri
ed esperienze plasmarono Kandinsky in tali successive fasi della sua vita.
Russia
Kandinsky ha trent’anni quando lascia la Russia natale per intraprendere studi
artistici a Monaco; in precedenza, ha studiato per dieci anni economia e diritto
romano e russo all’università di Mosca. L’artista stesso, retrospettivamente, ha indicato
come quegli anni abbiano inciso sulla sua formazione; e qui bisogna anzitutto
citare la scoperta dell’arte popolare, che egli fece nel corso della già menzionata
spedizione nella Russia settentrionale, un viaggio di due mesi nella terra dei Sirieni,
una popolazione russo-fi nnica di allevatori di bestiame e pescatori. La storica
dell’arte americana Peg Weiss ha evidenziato, in un importante saggio apparso nel
1995, come l’intera fase creativa di Kandinsky sia stata infl uenzata da miti folklorici
e sciamanici; in particolare, sembra che egli si sia ripetutamente ispirato ai pittogrammi
e alle storie per immagini stilizzate dipinte sui tamburi degli sciamani.7 Un
percorso diretto porta dalle variopinte case contadine, che permettono al visitatore
di immergersi completamente nella pittura (fi g. 2), ai lavori monumentali della
maturità di Kandinsky, il cui esempio principale è il salone ottagonale che l’artista
concepì nel 1922 per la Juryfreie Kunstausstellung di Berlino (fi g. 3). Nel 1977 il
Centre Pompidou ha realizzato una ricostruzione di quei pannelli murali di grandi
dimensioni sulla base degli schizzi originali rimasti (cat. 59). L’impressione che se
ne ricava è la stessa che tanto aveva colpito Kandinsky nelle “case delle meraviglie”
dei contadini della Russia settentrionale: sembra di entrare in uno spazio che
si dissolve nel colore e nelle forme.
Meno noto, per quanto riguarda il periodo di formazione di Kandinsky, è il suo
riferimento all’importanza del diritto contadino russo per la sua arte. Analogamente
al Nuovo Testamento, tale diritto, a differenza di quello pagano-cristiano, applica,
secondo Kandinsky, un metro “interiore” nel giudicare i reati. Invece che sul dato
di fatto del delitto, il giudizio si basa sulla sua “fonte interiore: l’anima di chi lo ha
commesso”.8 Il famoso “principio dell’intima necessità” con cui Kandinsky, nel suo
fondamentale scritto Lo spirituale nell’arte, legittima l’astrazione pittorica, potrebbe
fondarsi su questo. Nella successiva Caratteristica di se stesso, redatta nel 1919 per
una enciclopedia russa,9 l’artista scrive che non esistono soluzioni formali assolute
e che ogni questione compositiva ha un valore puramente relativo, basato sull’effetto
psichico che determinate forme colorate esercitano sullo spettatore, come per
esempio il “caldo colore rosso che, considerato isolatamente, ha sempre un’azione
eccitante”.10 Ogni opera, secondo Kandinsky, sceglie la propria forma e obbedisce
unicamente alla propria logica interiore. Tale concetto non va però inteso, in senso
espressionistico, come una coercizione intimamente subita dall’artista, bensì come
un oggettivo criterio di scelta per le forme e i colori necessari alla formulazione visuale
e alla trasmissione effi cace di determinati stati d’animo.
Paradossalmente, il trasferimento a Monaco avvicina Kandinsky al mondo
artistico russo. Si iscrive alla scuola di pittura di Anton Ažbé, particolarmente apprezzata
dai suoi compatrioti, dove, accanto ad Alexej von Jawlensky e Marianne
von Werefkin, entra in contatto anche con alcuni artisti della cerchia della rivista
“Mir iskusstva”, appena co-fondata da Sergej Diaghilev, il futuro creatore dei Ballets
russes; alcuni di loro infatti, come Ivan Bilibin o Mstislav Dobužinskij, vivono a
Monaco per un periodo più o meno lungo. Dal 1902 Kandinsky scrive articoli sulla
vita culturale monacense per questa nuova rivista; nel 1904 vi viene riprodotto il
suo quadro Città vecchia II (cat. 4). Questo movimento russo, come lo Jugendstil
europeo o le correnti simboliste, mirava all’emancipazione della linea e dell’ornamentazione,
nonché ad analogie musicali e alla sintesi di tutte le arti. La sua particolarità
consisteva nel rifarsi a stili artistici precedenti (Biedermeier) e a temi
iconografi ci folklorici, il che si rifl ette nelle opere grafi che di Kandinsky del primo
Novecento. In quegli anni, l’amore per il mondo delle fi abe medievali e il folklore
russo, nonché il suo intenso lavoro con la xilografi a e con la tempera lo avvicinano
ai suoi connazionali. La somiglianza tra le tempere di Kandinsky del 1903-04 (cat.
6-7) e le anteriori illustrazioni di racconti russi a opera di Bilibin (fi g. 4) è notevole.
Successivamente, il direttore del Blaue Reiter Almanach condividerà l’entusiasmo
dell’avanguardia neo-primitivista per l’espressività della pittura di icone e dei lubki
(fi g. 5), le tradizionali stampe popolari che infl uenzarono soprattutto Michail Larionov
e Natal’ja Goncˇarova.11 Nel corso dei quasi vent’anni che trascorre a Monaco,
Kandinsky non interrompe mai i contatti con la propria patria; pubblica numerosi
articoli in riviste russe e partecipa regolarmente a mostre.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale costringe Kandinsky a ritornare in Russia.
Il cambio di residenza, la defi nitiva separazione da Gabriele Münter, sua compagna
negli anni monacensi, il protrarsi del confl itto e l’incertezza delle prospettive
per il futuro inibiscono la sua energia creativa; tralasciando gli oli, si concentra su
acquerelli di piccole dimensioni e disegni. Benché partecipi a esposizioni collettive
a Mosca e Pietroburgo, nel periodo prerivoluzionario quasi non ha contatti con
i nuovi leader dell’avanguardia russa, come Kazimir Malevicˇ o Vladimir Tatlin; solo
dopo la rivoluzione di ottobre, allorché viene coinvolto, al pari di tutti gli artisti più
importanti, nella nuova organizzazione statale del panorama artistico e museale russo,
Kandinsky ha modo di conoscere meglio i rappresentanti del suprematismo e del
costruttivismo. Nel 1918 lavora insieme a Tatlin, L’jubov Popova e Olga Rozanova
per il Commissariato del popolo per l’istruzione (Narkompros), nel dipartimento arti
fi gurative; inoltre fa la conoscenza di Varvara Stepanova e Aleksandr Rodcˇenko, i
quali abitano per un certo periodo nel suo studio. Nel 1919 Kandinsky e Rodcˇenko
si dedicano insieme all’organizzazione dei musei provinciali.
Quello stesso anno Kandinsky, dopo una lunga pausa, ricomincia a dipingere
a olio. Il capolavoro Nel grigio (cat. 39), benché ancora legato all’espressionismo
d’anteguerra, con le sue forme fl uttuanti e l’accentuazione di colori primari quali
il rosso, il nero, il bianco indica in quale direzione si stava evolvendo la sua arte,
sotto l’impressione del suprematismo. Il dipinto Su bianco II (cat. 64), realizzato
nel 1923, quindi dopo il ritorno in Germania, denota chiaramente l’infl uenza delle
composizioni planetarie di Malevicˇ. In generale, le opere di Kandinsky dei primi anni
del Bauhaus mostrano un più ampio uso di colori freddi, forme geometriche elementari
e strutture elaborate, sovrapposizioni di superfi ci piane, spostamenti degli assi
direzionali o un’accentuazione della diagonalità – tutti elementi tipici della pittura
costruttivista. Kandinsky stesso ha defi nito la fase creativa dal 1921 al 1923 come
il proprio “periodo freddo”. Forse doveva prima riprendersi dalla profonda rottura
con i sostenitori dell’arte d’avanguardia, per potersi appropriare di questo nuovo
linguaggio pittorico più razionale. Nel 1920, il suo ambizioso programma pedagogico
interdisciplinare per il Narkompros viene bocciato dai costruttivisti progressisti
guidati da Rodcˇenko perché troppo “soggettivo” e “intuitivo”.12 Kandinsky passa per
un anacronistico espressionista. Di conseguenza, quando Walter Gropius lo invita
a insegnare al Bauhaus accetta senza troppe esitazioni e nel dicembre 1921 lascia
per la seconda volta il suo Paese natale.
Germania
Nel 1896, Kandinsky arriva a Monaco proprio nel momento in cui si sta affermando
lo Jugendstil. Con la nascita della rivista “Jugend”, da cui il movimento internazionale
“Arts and Crafts” trae il proprio nome tedesco, la capitale bavarese diventa
il centro di questa nuova tendenza artistica, caratterizzata da linee elegantemente
curve, da decorazioni geometriche o fl oreali e dalla ricerca della simmetria. Nel 1897,
in occasione dell’Esposizione internazionale al Glaspalast di Monaco, allo Jugendstil
sono dedicate due sale, in cui soprattutto i lavori di arte applicata di Hermann Obrist
ottengono grande successo. Nello stesso anno fa sensazione anche il celebre studio fotografi
co Elvira di August Endell, la cui facciata è ornata da un drago in stile fl oreale
(fi g. 7). Lo Jugendstil vuole essere il progetto di una società moderna, che aspira a una
sintesi globale di arte e vita. La decisione di Kandinsky di passare al corso di Franz von
Stuck, “il primo disegnatore della Germania”, dopo gli inizi alla scuola di Anton Ažbé,
ha sicuramente a che vedere anche con il signifi cato della linearità nello Jugendstil
(fi g. 6). Il manifesto creato da Kandinsky per la prima mostra della nuova associazione
di artisti Phalanx (cat. 3) è defi nito dal suo biografo Will Grohmann come un omaggio
al nuovo stile decorativo, per l’impressione ritmica complessiva e il simbolismo.13 La
scuola d’arte affi liata al gruppo Phalanx era situata nelle immediate vicinanze della
nuova scuola di arti applicate di Obrist, il che potrebbe aver contribuito al fatto che la
seconda mostra del gruppo sia interamente dedicata all’ideale dell’opera d’arte totale
(Gesamtkunstwerk) nelle arti applicate. Anche Kandinsky si interessa molto ai gioielli,
alla ceramica e all’arredamento, come testimoniano numerosi schizzi di quel periodo.
Il suo interesse per l’ornamentale potrebbe essere stato ulteriormente stimolato
dalla visita alla grande esposizione “Capolavori dell’arte islamica”, tenutasi a Monaco
nel 1910.14 Kandinsky scrive per la rivista d’arte pietroburghese “Apollon” una
recensione su quella mostra fondamentale, che impressiona fortemente anche i suoi
futuri colleghi del Blaue Reiter Franz Marc e August Macke, nonché Henri Matisse.
Nello stesso anno, egli porta a termine il suo importante scritto teorico Lo spirituale
nell’arte, per il quale raccoglie appunti da anni; il suo principale obiettivo è, nelle
parole dell’autore stesso, “risvegliare la capacità, in futuro assolutamente necessaria,
di vivere interiormente lo spirituale nelle cose materiali e astratte”.15 In sostanza,
Kandinsky aspira a una rivalutazione della funzione dell’arte, che non dovrebbe più
basarsi su valori referenziali, come per esempio il principio classico dell’imitazione,
ma su criteri spirituali, ovvero immateriali.
Non è questa la sede per analizzare le numerose fonti di tale rivoluzionario programma;
ci limiteremo a citarne alcune che esercitarono un’infl uenza diretta su Kandinsky
negli anni di Monaco. Molto importante, per lui, fu il saggio dello storico dell’arte
Wilhelm Worringer Abstraktion und Einfühlung. Ein Beitrag zur Stilpsychologie,
pubblicato nel 1908 dall’editore Piper, in cui è sviluppata una teoria dell’astrazione
che non si concentra più sulla singola opera d’arte, sul suo stile o sulla sua tecnica,
bensì sulle condizioni psichiche in cui l’arte nasce.16 Worringer delinea così una storia
dell’evoluzione dello spirituale nell’arte, che, partendo dai primitivi, raggiunge un
primo vertice nel gotico e viene poi portata avanti da Franz Marc e Kandinsky nell’almanacco
Der Blaue Reiter. Nel corso di un lungo soggiorno a Berlino, dal settembre
1907 all’aprile 1908, Kandinsky potrebbe aver assimilato altri stimoli; i concerti cui
assiste rafforzano la sua propensione a collegare musica e arte fi gurativa, che in seguito
approfondirà grazie ai suoi rapporti con il compositore russo Thomas de Hartmann
e con Arnold Schönberg, il fondatore della musica atonale. Gli allestimenti di
Max Reinhardt con il décor di Edward Gordon Craig al Deutsches Theater destano in
Kandinsky un vivo interesse per la scenografi a. Insieme a Maria Strakosch-Giesler, già
sua allieva alla scuola di Phalanx, che lo ha introdotto alle dottrine teosofi che, assiste
a Berlino a una conferenza dell’antroposofo Rudolf Steiner. L’interesse di Kandinsky
per le correnti occulte ed esoteriche è dimostrato anche dal fatto che possedeva una
copia della prima edizione tedesca (1908) di Thought Forms di Annie Besant e Charles
Webster Leadbeater.17 Questo trattato teosofi co sulle manifestazioni auratiche (“forme-
pensiero”) che si verifi cano quando un essere umano si crea un’immagine plastica
ed emotiva sembra trovare eco, anni dopo, in Quadro con macchia rossa (cat. 22).
Il saggio Lo spirituale nell’arte esce infi ne per l’editore Piper nel dicembre 1911
(datato 1912), ottenendo un successo straordinario. Nel corso del primo anno viene
ristampato due volte e nel 1914 viene già tradotto in inglese. I tempi erano maturi per
un mutamento epocale. Non soltanto l’arte di Kandinsky si era nel frattempo avvicinata
al nuovo ideale di un’arte di contenuto spirituale: l’almanacco Der Blaue Reiter,
apparso alcuni mesi dopo, evidenzia come la dimensione spirituale vada ricercata in
ogni espressione artistica, a prescindere dalla forma, dalla provenienza, dall’età o dallo
status dell’opera. Il dialogo tra pittura dietro vetro bavarese, marionette egiziane,
maschere cinesi, disegni infantili e dipinti di Robert Delaunay, Henri Rousseau, Matisse
o Picasso rivela la molteplicità degli infl ussi assorbiti dall’artista russo durante
gli anni trascorsi a Monaco.
Per Kandinsky il ritorno in Germania nel 1921 rappresenta un cambiamento di
residenza, ma non necessariamente un confronto con nuovi mezzi di espressione artistica.
Il suo arrivo al Bauhaus coincide con l’abbandono dell’espressionismo a favore
di tendenze universali, oggettive e costruttiviste, che Kandinsky conosceva già dalla
Russia. Egli porta avanti lo stile sintetico del periodo russo (un dialogo tra forme geometriche
e forme libere), come mostrano in particolare i due capolavori del 1922: la
raccolta di stampe Piccoli mondi (cat. 47-58) e i già citati pannelli per l’esposizione
della Juryfreie Kunstausstellung. Anche se le origini di tale opera risalgono alle sue
prime esperienze in Russia, la realizzazione di questa architettura accessibile è direttamente
collegata all’incarico di Kandinsky al Bauhaus. In qualità di direttore del
laboratorio di pittura parietale, egli non soltanto aveva la capacità tecnica e organizzativa
di far eseguire dipinti monumentali, ma era anzi tenuto a mettere personalmente
in pratica l’ideale dichiarato di Gropius di unire arte libera e arte applicata. Nel 1923
viene chiamato al Bauhaus l’ungherese László Moholy-Nagy, il quale, grazie al proprio
interesse per la tipografi a e la fotografi a, favorì un orientamento tecnico e utilitaristico.
La razionalità del procedimento artistico e la serietà scientifi ca dello studio diventano
sempre più importanti al Bauhaus, soprattutto dopo il trasferimento da Weimar alla
città industriale di Dessau, avvenuto nel 1925. Kandinsky reagisce a questa tendenza
sistematizzando la propria dottrina e pubblicando un secondo scritto teorico, Punto
e linea nel piano, apparso nel 1926 nella collana di libri del Bauhaus: si tratta di un
tentativo di analisi scientifi ca degli elementi pittorici, unita a una valutazione oggettiva
dell’arte per mezzo di esempi tratti dalle scienze naturali e dalla tecnica. Kandinsky
trasferisce questo approccio razionale anche nella sua pittura, dove lo splendido olio
Giallo-Rosso-Blu (cat. 69) fa riferimento a una sequenza cromatica che egli spiega
dettagliatamente sia in Punto e linea nel piano sia in numerosi esercizi per i suoi allievi.
18 Nella schematizzazione lineare di questo capolavoro si vede anche quale effetto
abbia avuto l’insegnamento del disegno analitico sulla pittura di Kandinsky.
Con l’ascesa al potere di Hitler, nel 1933, e la chiusura del Bauhaus, l’artista,
che pure dal 1928 è cittadino tedesco, lascia il Paese in cui è diventato il massimo
esponente internazionale dell’arte astratta.
Francia
La scelta di Kandinsky, alla fi ne del 1933, di trasferirsi a Parigi invece che negli
Stati Uniti, dove era stato più volte invitato, è un passo coerente. Per tutta la vita egli
mantiene uno scambio costante con lo scenario artistico francese, e Parigi era allora
il centro dell’arte mondiale. Dopo il primo impatto con l’impressionismo di Monet,
da lui sperimentato quando era ancora in Russia, Kandinsky soggiorna spesso nella
patria di Cézanne, Gauguin e Matisse, sia pure per un paio di settimane di vacanza. A
partire dal 1904 espone regolarmente nella capitale francese, al Salon d’Automne e dal
1905 anche al Salon des Indépendants. Dal maggio 1906 al giugno 1907 vive per un
anno a Sèvres, nelle vicinanze di Parigi, in compagnia di Gabriele Münter. In questo
stimolante periodo ha modo di conoscere più da vicino l’arte post-impressionistica di
Vincent Van Gogh, Paul Signac e Georges Seurat. Si può ben supporre che il nuovo
stile puntinista abbia indotto Kandinsky a sottoporre a un alleggerimento i suoi piccoli
studi a olio di macchie di colore spatolate, eseguiti dal vero nel corso dei suoi viaggi o
a memoria sin dal 1901; Le Parc de Saint-Cloud, allée ombragée (cat. 15) rivela una
crescente emancipazione dalle macchie di colore. Un’esperienza emozionante dev’essere
stata per lui la scoperta dei “fauves” al Salon d’Automne del 1905, in cui la sala
con le esplosioni di colore di Henri Matisse, André Derain e Albert Marquet, defi nita
da un critico “una gabbia di belve feroci”, suscitò uno scandalo. Anche la grande retrospettiva
di Paul Gauguin del 1906 lasciò una profonda impressione su Kandinsky.19
Sappiamo anche, grazie al diario di Gabriele Münter, che fece visita a Gertrude e Leo
Stein in rue de Fleurus, per vedere la loro ampia collezione di Matisse e Picasso.20
Peraltro, tutte queste nuove esperienze, al pari dei precetti dell’avanguardia russa
qualche anno dopo, si rifl etteranno sulla sua opera solo dopo un determinato periodo
di incubazione. Quando Gertrude Stein va a sua volta a trovare Kandinsky nel suo
atelier parigino e vede le tempere su fondo nero con motivi folklorici che egli esegue
in quel periodo, anche per seguire la moda dell’arte russa allora dilagante nella capitale,
la collezionista americana si limita a sorridere.21 Solo dopo il ritorno a Monaco
e soprattutto dopo la scoperta, da parte dell’artista, dell’idilliaco villaggio di Murnau,
in Alta Baviera, nell’estate del 1908, i ricordi parigini contribuiscono a indurre un
cambiamento di stile. Nel cuore di quell’ambiente alpino, lontano dalla frenesia cittadina,
e grazie allo scambio con Jawlensky e Werefkin, suoi ospiti abituali a Murnau,
Kandinsky produce paesaggi dai colori intensi in una semplifi cazione bidimensionale.
Come si può vedere in Improvvisazione III (cat. 19), molti dipinti sono costruiti su
espressivi contrasti di colori complementari. Questa composizione, inoltre, dimostra
come a Murnau gli oggetti vadano perdendo a poco a poco la loro urgenza. La strada
che porta alla pittura puramente astratta, raggiunta da Kandinsky nel 1911, passa anche
per le scoperte della pittura francese.
Con il ritorno di Kandinsky in Russia, i suoi rapporti con i colleghi parigini che
avevano collaborato all’almanacco e alle mostre del gruppo Der Blaue Reiter, come Robert
Delaunay o Henri Matisse, per il momento si interrompono; solo verso la fi ne degli
anni Venti si produrranno nuovi contatti. Se ne farà promotore l’editore greco-francese
della rivista d’arte parigina “Cahiers d’Art”, Christian Zervos, il quale va a trovare
Kandinsky a Dessau nel dicembre 1927, in compagnia del gallerista Alfred Flechtheim,
per scegliere quadri per una mostra. Nel gennaio 1929 alla Galerie Zak si inaugura una
piccola esposizione di suoi acquerelli: è la prima personale parigina di Kandinsky, in
cui André Breton acquista due dipinti. Articoli di Zervos e di Will Grohmann, apparsi
nei “Cahiers d’Art” nel corso dello stesso anno, contribuiscono a farlo conoscere a
un pubblico più ampio. Michel Seuphor lo invita a entrare nell’effi mera associazione
Cercle et Carré, nel cui ambito conosce Piet Mondrian, Hans Arp, Sophie Täuber-Arp,
Fernand Léger, Le Corbusier e Willi Baumeister. Successivamente accoglie l’invito di
Albert Gleizes a partecipare anche alle mostre del nuovo gruppo Abstraction-Création.
Alla fi ne del 1930, la casa editrice dei “Cahiers d’Art” pubblica la prima monografi a su
di lui, scritta da Will Grohmann, già autore di un’ampia biografi a di Paul Klee. Prima
ancora di trasferirsi a Neuilly-sur-Seine nel dicembre 1933, Kandinsky conosce in ottobre
Marcel Duchamp, Tristan Tzara e Paul Éluard, che lo invitano a prendere parte,
quale ospite d’onore dei surrealisti, al sesto Salon des Surindépendants.
Dunque, allorché il maestro del Bauhaus arriva a Parigi nel dicembre 1933, non
è più uno sconosciuto: soprattutto grazie a Zervos, si ambienta rapidamente nella sua
nuova patria d’elezione. Kandinsky stima Fernand Leger, frequenta spesso e volentieri il
suo vecchio amico Hans Arp e la moglie Sophie Täuber-Arp, o anche Alberto Magnelli.
Tra i più giovani – Kandinsky ha quasi settant’anni –, ha una particolare simpatia per
Joan Miró: “Questo omino che dipinge sempre tele così grandi è in realtà un vero e
proprio piccolo vulcano, che produce quadri con una facilità incredibile. Ha una forza
e un’energia fantastica”.22 Se si esamina la produzione degli anni parigini, durante
i quali Kandinsky realizzò 144 quadri e 208 tra tempere e guazzi, si direbbe che tutti
questi artisti lo abbiano ampiamente ispirato. Le insolite forme amorfe, zoologiche e
botaniche, che da questo momento in poi caratterizzeranno le composizioni di Kandinsky,
si riallacciano sia alle sculture in gesso di Arp – e in particolare a Concrezione,
riprodotta nel 1933 nei “Cahiers d’Art” – sia alle prime creazioni a tutto campo
(all-over) di Miró, come il Carnevale di Arlecchino del 1920-21 (fi g. 8), che venne
anch’esso pubblicato nella rivista di Zervos, un anno dopo i lavori di Arp.23 Kandinsky
trova nell’opera dei colleghi esempi di come sia possibile trasformare l’interesse
per le forme organiche (foglie, coralli, meduse, protozoi, amebe, embrioni, struttute
cellulari ecc.), vivo in lui sin dagli ultimi anni del Bauhaus, in un linguaggio pittorico
contemporaneo. Le sue composizioni degli anni parigini si fanno più sciolte, diventano
più animate, persino gaie, come se egli volesse rendere omaggio al suo collega
del Bauhaus Paul Klee. Il cosiddetto biomorfi smo aveva molti adepti nella Parigi negli
anni Trenta. Accanto ai surrealisti Miró, Salvador Dalí e Pablo Picasso vanno citati
anche Alexander Calder, Jean Hélion, Henry Moore, Fernand Léger, Alberto Magnelli
o Le Corbusier.24 Il gioco con le forme naturali a effetto astratto offriva a Kandinsky
un modo a lui molto congeniale di addolcire la rigida separazione tra linguaggio pittorico
fi gurativo e non.
Epilogo
Nel 1927 Kandinsky pubblica nella rivista olandese “i10 Internationale Revue”
un testo dal curioso titolo Und. Einiges über synthetische Kunst. Si tratta di una
dichiarazione a favore dell’arte sintetica del XX secolo contro l’“aut aut”, contro la
frammentazione e la specializzazione del XIX secolo. Il maestro del Bauhaus scrive:
“L’inizio consiste nel riconoscimento dei nessi. Ci si renderà conto sempre più chiaramente
che non esistono problemi ‘speciali’ che possano essere riconosciuti o risolti
isolatamente, poiché in defi nitiva tutte le cose sono connesse e dipendono l’una
dall’altra”.25 In questo senso va interpretata anche l’arte di Kandinsky: come un insieme
unico al di là delle frontiere, come un’opera senza confi ni.