Visita al padre fotoMarasco |
Dopo
il grande successo di Giulio Cesare Carmelo Rifici torna al Piccolo con
una nuova produzione, Visita al padre, un testo di Roland
Schimmelpfennig, in scena al Teatro Studio da sabato 18 gennaio a domenica 16
febbraio 2014.
Il
drammaturgo tedesco è, in Germania, l’autore del momento e una delle penne più
interessanti della letteratura teatrale contemporanea. Nato nel 1967 a
Gottinga, ha lavorato come giornalista e scrittore freelance a Istanbul; poi si
è dato al teatro al Münchner Kammerspielen, alla Berliner Schaubühne, al Royal
Court di Londra, alla Deutsches Schauspielhaus di Amburgo.
Un ragazzo di cui non si sa
nulla se non il nome, Peter, bussa alla porta di una casa, perduta nella
campagna tedesca. Dice di essere il figlio di Heinrich, il padrone di casa,
maturo intellettuale che da anni lavora, senza riuscire a concluderla, a una
traduzione del Paradiso perduto di Milton. Nessuno aveva notizie
dell’esistenza di Peter, nato da una relazione occasionale intrattenuta da
Heinrich molti anni prima, e sempre vissuto negli Stati Uniti. Lo stesso
giovane si era sempre creduto orfano. Alla morte della madre, la rivelazione
dell’esistenza in vita di Heinrich e la decisione di partire, alla volta
dell’Europa
e
della “famiglia”. Nella villa Heinrich vive tra legami ambigui, circondato da
sole donne: la moglie Edith, la figlia che hanno avuto insieme, la figlia di
primo letto e la nipote della stessa Edith, una professoressa, collega di
lavoro, che si è recata a fargli visita portando con sé la propria giovane
figlia. Heinrich è l’unico maschio all’interno di una casa abitata solo da
donne, che non possono avere figli. Donne che chiedono di avere un ruolo, che
devono inventarselo. Nel gruppo si inserisce violentemente un nuovo maschio
dominante, il giovane Peter. Heinrich si innamora della giovane nipote. Edith è
sedotta da Peter, di cui ignorava l’esistenza. Si attua lo scontro “mitico” tra
padre e figlio.
Schimmelpfennig ragiona sul
concetto di memoria, tra storia e cultura, e della mancata “eredità” nel
rapporto fra due generazioni.
“In
questo testo”, spiega Rifici, “ritrovo un tema che ho incontrato già nel teatro
di Lars Norén, di Heiner Müller e di Botho Strauss: la constatazione di un
passato rimosso, in Germania e in Europa. La mancata riflessione su un’eredità
storica scomoda – nazismo, fascismo, e fine del comunismo – ha pertanto
impedito il passaggio dalla vecchia alla nuova generazione. Un mondo di padri
senza cuore, incastrati in un sistema da cui non vogliono uscire, è posto sotto
assedio da giovani privi di una storia, di un passato e di un’identità ma che,
come Peter, desiderano trovare una loro collocazione nel mondo e non
riuscendoci non riescono ad agire se non attraverso la distruzione”.
“Visita
al padre ritrae una determinata classe”, spiega lo stesso Schimmelpfennig.
“È qualcosa di politico o si tratta di un’immagine riflessa? Per me teatro
politico significherebbe lo sviluppo di una visione politica e sociale al di là
delle grandi questioni di morale, torto e ragione. Ma il teatro non è mai
astratto, tema del teatro è l’uomo, l’individuo. Per me il teatro tratta sempre
il cambiamento. O di un desiderio di cambiamento o del fallimento del
cambiamento”.
LA SCHEDA DELLO SPETTACOLO
Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6
– M2 Lanza)
dal 18 gennaio al 16 febbraio 2014
Visita
al padre
di Roland Schimmelpfennig
traduzione Roberto Menin
regia Carmelo Rifici
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Claudio De Pace
musica di Daniele D’Angelo
Personaggi Interpreti
La professoressa Paola
Bigatto
Edith Anna
Bonaiuto
Nadia Caterina
Carpio
Peter Marco
Foschi
Marietta Mariangela
Granelli
Heinrich Massimo
Popolizio
Isabel Sara
Putignano
Sonja Alice
Torriani
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Foto di scena Attilio Marasco
Orari:
martedì e sabato ore 19.30; mercoledì, giovedì e venerdì ore 20.30; domenica
ore 16.00.
Lunedì
riposo.
Durata:
2 ore e 20 minuti compreso intervallo
Prezzi: platea 33 euro, balconata
26 euro.
Informazioni e prenotazioni 848800304 – www.piccoloteatro.org
Il regista
Il pubblico del Piccolo ha
avuto modo di conoscere e apprezzare Carmelo Rifici per le messe in scena de I
pretendenti di Jean-Luc Lagarce (2009), Il gatto con gli stivali di
Ludwig Tieck (2009), Dettagli di Lars Norén (2010), Nathan il saggio
di Gotthold Ephraim Lessing (2011) e Giulio Cesare di William
Shakespeare (2012). Ora porta in scena Visita al padre, prima parte – ma
le tre commedie possono vivere anche separatamente – della Trilogia degli animali,
scritta tra il 2006 e il 2007 dal quarantaseienne tedesco Roland
Schimmelpfennig.
Come ti sei avvicinato al teatro di
Schimmelpfennig e perché hai scelto di portarlo in scena?
Frequento
assiduamente la scena berlinese perché il teatro tedesco è da sempre un mio
riferimento. Così mi sono trovato qualche volta a veder rappresentato
Schimmelpfennifg, autore in Italia pochissimo noto – nel nostro Paese gli
autori arrivano con un certo ritardo, anche per un problema editoriale – e che
ho trovato decisamente funzionale alla mia indagine sulla nuova drammaturgia
nordica, tedesca in particolare. Da un paio di stagioni porto in scena testi di
Heiner Müller: Schimmeplfennig, come
Botho Strauss ancor prima di Müller, prosegue in quella stessa ricostruzione di
una geografia metaforica della Germania. È un’indagine che va alle radici della
crisi d’identità che il suo Paese, come tutta l’Europa occidentale, sta
attraversando. Al pari di Müller e Strauss, autori che hanno avviato uno scavo
doloroso e spietato sulla storia recente della Germania, anche Schimmelpfennig
si pone interrogativi sulla rimozione del passato tedesco. Schimmelpfennig
parla di una mancata eredità, responsabile della successiva “caduta” del Paese.
È vero che la Germania, per lo meno in apparenza, sembra essersi ripresa più
che bene dal secondo conflitto mondiale, ma è vero che continua a restare
evidente agli scrittori tedeschi – lo diceva Müller e Schimmelpfennig riprende
il concetto egregiamente – la traccia di un passato cancellato che ha impedito
la trasmissione alle giovani generazioni di un’eredità storica. In Visita al padre si sottolinea proprio
questo deficit nel passaggio del testimone dalla vecchia alla nuova Germania,
da padre a figlio, da una generazione a un’altra. Mi pare peraltro un tema
attualissimo anche in Italia, con la differenza che Schimmelpfennig allude alla
rimozione della storia della Germania nazista e comunista.
In che modo questo argomento
è esplicitato nel testo? Esistono rimandi evidenti per l’occhio del pubblico italiano?
Pensiamo
alla casa dove si svolge la commedia. Oltre ad essere il luogo fisico delle
passioni e degli scontri che attraversano il testo, è simbolo di quella
geografia metafisica cui accennavo prima. Edith, la moglie di Heinrich, il
“padre”, racconta che quella villa di campagna, apparteneva alla sua famiglia,
era il luogo dove era solita recarsi da bambina. Poi i genitori l’hanno persa,
in modo assai misterioso, e la stessa Edith si era trovata a doverla
riacquistare in età adulta. La casa sorge su una strada, una vecchia via
napoleonica, crocevia di battaglie, di quei conflitti che, da Napoleone in
poi, come dice Edith nel corso della
commedia, hanno devastato il territorio. Forse di lì, in qualche modo – metaforicamente,
è ovvio – passava anche il Muro abbattuto nel 1989… Leggendo Visita al padre, ho percepito forte il
senso di una perdita, la sensazione di una mancanza, di una falla, di qualcosa
che fa acqua da tutte le parti. Sto compiendo un percorso di analisi
geografica, storica e sociale di un’epoca e di una generazione – la mia – che
si esprime attraverso una drammaturgia di assenze, di buchi, di vuoti di
memoria, lasciati in eredità da chi è venuto prima: vuoti che per ora sono
colmati solo dal senso del mistero. Faccio un esempio con il quale racconto
anche un poco la trama di Visita al padre:
di Peter, il ragazzo che giunge in cerca del padre e bussa alla porta della
casa dove egli vive con Edith, ci viene detto che sta tornando dall’America.
Come è arrivato in Germania? Quando? Come ha fatto a trovare la casa? Chi gli
ha detto che il padre sarebbe stato lì? È impossibile saperlo. Peter dice di
essere arrivato “a piedi”: un’assurdità, anche se avesse percorso a piedi
soltanto la strada dalla stazione alla casa, a quanto dicono gli altri personaggi.
Il
suo misterioso arrivo sconvolge tutta una serie di equilibri, peraltro falsi.
Sappiamo che il padre di Peter, Heinrich, è l’unico maschio all’interno di una
casa abitata solo da donne, per vari motivi impossibilitate a procreare; donne
che vorrebbero avere un ruolo, ma sono costrette a inventarselo e cercano,
anche un po’ penosamente, di capire cosa fare nella vita. Nel gruppo si
inserisce, violentemente, un nuovo maschio, un maschio dominante, è il giovane
Peter. Non a caso lo scontro “mitico” tra padre e figlio è presente anche nel
testo che Heinrich sta traducendo da dieci anni, Paradise Lost (Il paradiso
perduto) di Milton, e che non riesce a portare avanti, probabilmente per
l’incapacità di affrontare qualsiasi cosa. Il testo è carico di mille
interrogativi che rimangono insoluti. Schimmelpfennig, peraltro, viene
normalmente accostato al realismo magico e, guarda caso, io avevo allestito,
sempre al Piccolo, un Giulio Cesare
di Shakespeare basato sul realismo magico…
Uno
stile drammaturgico molto contemporaneo, nonostante i riferimenti di
Schimmelpfennig siano i classici…
Sì,
ma attenzione: che ci siano riferimenti ad un certo tipo di teatro borghese è
lampante. Heinrich e Sonja, all’inizio del primo atto, vanno a caccia di
anatre, ne uccidono una, la riportano a casa e coinvolgono tutta la famiglia in
una grottesca preparazione erotico-culinaria del povero volatile. Che si faccia
riferimento, con intento parodistico, all’Anitra
selvatica di Ibsen, è dichiarato. Così come gli spari “accidentali” che
ricorrono nella commedia hanno un’altra matrice facilmente individuabile:
Cechov. Tuttavia – e di questo ho avuto la conferma alla prova del palcoscenico
– la letteratura è per Schimmelpfennig l’espediente con cui, ancora una volta,
riportare l’attenzione sui legami affettivi e le modalità di relazione tra i
personaggi: i protagonisti di Visita al
padre sono incapaci di vivere ed esprimere i propri sentimenti. Non sanno
descrivere cosa provano. Riescono a farlo soltanto a patto di
“letterarizzarli”. Peter, parlando di sé, fa continuamente riferimento al mito,
ai patriarchi, a personaggi sospesi tra una dimensione letteraria e religiosa.
Heinrich, per il fatto stesso di essere anglista, incarna una presa di
posizione storica e politica, oltre che culturale: nato negli anni Quaranta, ha
vissuto in giovinezza il dramma del post nazismo, della Germania divisa, della
Guerra Fredda e ha scelto di schierarsi in un certo modo, come l’amico suicida
di cui parla con la collega professoressa. In seguito, con la caduta del
comunismo, ha rinnegato gli ideali di un tempo e, nel definirsi continuamente
studioso di anglistica, sembra volerci dichiarare una posizione politica più
che di gusto letterario. Ha scelto di vivere isolato dal mondo, letterarizzando
la realtà per renderla vivibile. Tuttavia Heinrich è consapevole, ha letto quei
libri che rinnega, sa di che parlano, conosce Tolstoij, che amava e ha
ripudiato, conosce Dostoevskij, di Turgenev dice che è il peggiore di tutti… è come se la letteratura gli ricordasse un
se stesso che non esiste più e che non riesce (o non vuole) riconoscere. I
ragazzi, all’opposto, ammantano la letteratura di un’aura divina, ma non la
conoscono. Intuiscono che leggere è importante per decodificare il mondo, ma
non ne sono capaci; non adoperano i libri come strumenti, ma come surrogati. I
libri offrono loro identità e modi di relazionarsi; sui libri possono leggere
come i personaggi si rapportino gli uni con gli altri e possono scimmiottare la
letteratura sostituendola alla vita. La professoressa dice: Vi manca il sapere necessario. Loro rispondono brandendo la creatività, quasi i due concetti fossero
antitetici. Privi di riferimenti, incapaci di imprimere una direzione alle
proprie esistenze, i giovani, in questa commedia, brancolano in cerca di ruoli,
cambiano continuamente lavoro, sovente indicano il mestiere dell’attore quale
ideale obiettivo di realizzazione (perché l’attore ha una parte assegnata), non
attribuiscono peso al denaro perché incapaci di dare il giusto valore alle cose.
Quando i libri nascosti da Heinrich riappaiono, nel “salone russo”, vi è chi,
come Nadia, la figlia della professoressa, ne è entusiasta, ma dal punto di
vista antiquario: i libri sono belli perché sono “prime edizioni”, sono oggetti
preziosi. Peter, invece, legge qualche riga di Guerra e pace, sembra riconoscere nelle parole del principe Andreij
le proprie inquietudini, ma poi getta il libro dalla finestra: la letteratura
poteva essere un’occasione per ritrovare un’identità perduta, ma va sprecata.
Così Peter, venuto dall’America nel tentativo di comporre il puzzle della
propria esistenza, sceglie la via della distruzione e lancia i libri nella
neve, con lo stesso spirito con cui, poi, tenterà di farsi uccidere da
Heinrich. Tutt’altro che casuale, la drammaturgia di Schimmelpfennig non può
essere interpretata che da una compagnia di ottimi attori.
In questo evidente conflitto
tra padri e figli, Schimmelpfennig, che ha 46 anni, da che parte si colloca?
Direi che non ha
simpatia per la generazione dei padri, che percepisce senza cuore. Nel testo ci
sono passaggi che alludono ad una sconcertante e negativa metamorfosi dei figli
quando si trovano a diventare padri. Si rifanno a sistemi di valori brutali,
gerarchici, inattaccabili. Per Peter ha un occhio di riguardo, in qualche modo
lo salva. È un ragazzo violento e brutale quanto il padre, ma la vendetta non è
il suo obiettivo, è una conseguenza della mancanza di un’educazione profonda e
affettiva. È colto, istruito, ma l’istruzione è priva di radice, è un dato astratto.
Cerca il suo posto nel mondo ma non ha gli strumenti per renderlo concreto,
consapevole. Il desiderio di distruzione è l’effetto dell’impossibilità di
accettare il fallimento come un dato inevitabile della vita. Per questi ragazzi
il fallimento è inconcepibile. Per evitarlo si trasformano frequentemente,
mutano, cambiano ruolo, si riciclano spesso, come se il cambio di identità o di
ruolo professionale (un obbligo nella società contemporanea del lavoro a
termine) fossero una droga per anestetizzare l’idea del fallimento. Per questo
mentono, e hanno la vocazione a diventare attori. Perché sul palcoscenico le
loro menzogne danno un senso all’inquietante e totale mancanza di identità.
(dal programma di sala)
L’autore
Roland Schimmelpfennig è nato
nel 1967 a Göttingen. Ha lavorato inizialmente a Istanbul come giornalista
indipendente e scrittore, prima di iniziare gli studi di regia alla scuola
Otto-Falckenberg a Monaco. Dopo la laurea, è stato aiuto regista e ha lavorato
nella direzione artistica dei Münchner Kammerspiele. Dal 1996 al 1999 ha
vissuto a Monaco e negli Stati Uniti come autore indipendente e traduttore.
Negli anni 1999-2001 ha lavorato come drammaturgo alla Berliner Schaubühne e
nella stagione teatrale 2001/2002 come drammaturgo del Deutsches Schauspielhaus
Hamburg.
Dal 2000 Roland Schimmelpfennig
scrive opere per lo Staatstheater di Stoccarda e quello di Hannover, per il
Deutsches Schauspielhaus Hamburg, il Burgtheater Wien, lo Schauspielhaus
Zürich, il Deutsches Theater Berlin, e altri. Roland Schimmelpfennig è
considerato l’autore di lingua tedesca più di successo e maggiormente messo in
scena della sua generazione. Ha vinto tanti premi e onorificenze, tra cui, più
volte, il Nestroy-Preis per la migliore opera così come l’Else-Lasker-Schüler-Förderpreis
nell’anno 1997.
Le sue opere vengono presentate
regolarmente al festival Mülheimer Theatertage. Der goldene Drache (Il
drago d’oro), di cui ha anche fatto personalmente la regia al Burgtheater
Wien, ha ricevuto nel 2010 il premio Mülheimer Theaterpreis ed è stato eletto
opera dell’anno dal sondaggio dei critici per la rivista “Theater heute”. Le
opere di Schimmelpfennig oggi vengono presentate in più di 40 paesi. Fra le altre, sono state eseguite le prime
di Keine Arbeit für die junge Frau im Frühlingskleid e Die Zwiefachen
ai Münchner Kammerspiele, Die ewige Maria al Theater Oberhausen, Aus
den Städten in die Wälder, aus den Wäldern in die Städte e Fisch um
Fisch (Pesce dopo pesce) allo Staatstheater Mainz, Vor langer
Zeit im Mai, MEZ e Push-Up 1-3 alla Schaubühne am Lehniner Platz,
Berlino, Die arabische Nacht (Notte araba) allo Staatstheater
Stuttgart, Die Frau von früher (La donna di un tempo) e Ende
und Anfang (Fine e inizio) all’Akademietheater Wien, Angebot und
Nachfrage, Besuch bei dem Vater (Visita al padre) e Der elfte
Gesang allo Schauspielhaus Bochum, Körperzeit basato su un romanzo di Don
DeLillo al Theater am Neumarkt Zürich, Auf der Greifswalder Straße e Das
Reich der Tiere al Deutsches Theater Berlin, Vorher/Nachher (Prima/dopo)
nella Thalia Theater Halle, Calypso allo Schauspielhaus Hamburg, Hier
und Jetzt (Qui e ora) allo Schauspielhaus Zürich nell’ambito dei
Mülheimer Theatertage 2009, Idomeneus al Bayerisches Staatsschauspiel
München per la riapertura del Cuvilliés-Theater, Das weiße Album e Wenn
dann: Was wir tun, wie und warum allo Schauspiel Frankfurt.
Inoltre Schimmelpfennig ha
curato degli allestimenti propri, a Zurigo e a Berlino.
Gli incontri
In
occasione della messa in scena dello spettacolo, il Piccolo, in collaborazione
con Goethe-lnstitut Mailand, Associazione Ubu per Franco Quadri e Università
degli Studi di Milano, organizza, nel Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2),
“Drammaturgia tedesca da Brecht a Schimmelpfennig”,un percorso
di approfondimento per avvicinare il pubblico alla figura e all’opera di Roland
Schimmelpfennig.
Giovedì
23 gennaio 2014 – ore 17.30
Incontro
con la compagnia di “Visita al padre”: intervengono gli
interpreti e il regista dello spettacolo
Giovedì
6 febbraio 2014 – ore 17.30
Incontro
con l’autore, Roland Schimmelpfennig al Piccolo:intervengono Roland Schimmelpfennig, Marco Castellari
(germanista, Università degli Studi di Milano),
Tutti
gli incontri sono a ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Prenotazioni
telefoniche a 02.72333301/313 (da lunedì a venerdì ore 9/18) oppure via mail a
comunicazione@piccoloteatromilano.it
Milano, 17 gennaio 2014