L’uomo sulla luna |
LE SCHEDE DEI FILM PRESENTATI AL FESTIVAL IL CINEMA ITALIANO VISTO DA MILANO
LE ANTEPRIME, I FILM DEL CONCORSO “RIVELAZIONI” E I DOCUMENTARI
BERTOLUCCI ON BERTOLUCCI (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2013, 105’.
Regia: Luca Guadagnino, Walter Fasano. Sceneggiatura e montaggio: Walter Fasano. Suono: Davide Favargiotti. Interpreti: Bernardo Bertolucci. Produzione:
Frenesy, Kimerafilm, Istituto Luce Cinecittà, con il contributo del MiBACT, Sigmund Freud Foundation, Regione Emilia Romagna, Rai Teche, INA – Institut
Nationel de l’Audiovisuel, BBC Motion Gallery, RTS – Radio Télévision Suisse.
Bernardo Bertolucci racconta il suo cinema in prima persona. Attraverso un montaggio che ne articola dichiarazioni e pensieri in un flusso di passioni,
introspezione psicologica, aneddoti e visioni, viene presentata l’identità di un autentico e straordinario “metteur en scène”. Il documentario è il risultato di due
anni di lavorazione da parte degli autori, che con pazienza e passione hanno scavato in oltre trecento ore di materiale conservato negli archivi di tutto il
mondo.
Dichiarazione dei registi
«Bernardo Bertolucci è il cinema: misteriosamente, appassionatamente fatto corpo. Il vigore e la profondità della sua azione cinematografica attraversano e
superano il secolo scorso portando la settimana arte nell’era digitale, con una consapevolezza di cui Bertolucci on Bertolucci, attraverso le parole del
cineasta, diventa “messa in pellicola” (o pixel). Film-saggio, quindi da leggere e scoprire nelle impreviste epifanie di senso di cui il maestro, nelle sue diverse
incarnazioni, si fa portatore: nell’emozione e nel dolore di chi ha sempre vissuto vita e cinema come una cosa sola.»
BRUNO E GINA (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2014, 64’.
Regia: Beppe Attene, Angelo Musciagna, liberamente tratto dal libro di Roberto Festorazzi Bruno e Gina Mussolini, un amore del ventennio. Montaggio:
Angelo Musciagna. Musiche: Pericle Odierna. Ricerche d’archivio: Giovannella Rendi e Rosellina D’Errico. Filmati d’archivio: Archivio Storico Luce, Gaumont
Pathé Archives. Voci: Stefania Romagnoli, Luca Violini, Francesca Tinaldi, Aldo Russo, Andrea Spina, Fabiana Aleotti, Laura Amadei. Produzione e
distribuzione: Istituto Luce Cinecittà.
Bruno e Gina sono due ragazzi follemente innamorati travolti dal grande turbine della Seconda guerra mondiale. La loro sembra una storia come tante altre,
ma lui è il figlio prediletto di Benito Mussolini e lei l’ultima familiare a incontrarlo in vita. Bruno muore in un incidente aereo nel 1941 e da quel momento Gina
diventa una vedova inconsolabile. Le vicende appassionanti e drammatiche dei due giovani sono raccontate dalle loro lettere e da quella che Mussolini scrive
al figlio defunto.
Dichiarazione dei registi
«Mussolini incontra la sua futura nuora, ancora bambina, nel momento del potere appena conquistato e non ancora goduto. La frequenta (o meglio viene
frequentato) per molti anni in seguito al matrimonio con Bruno e alla sua tragica morte, la incontra per l’ultima volta poche ore prima di morire a sua volta.
Forse, come dicono molti, le consegna dei segreti e forse proprio a causa di questi segreti Gina morirà traumaticamente poco tempo dopo. Mi pareva, e mi
pare tuttora, che questi tre protagonisti fossero legati da una trama a essi stessi segreta e inconosciuta ma tuttavia percepita e ubbidita. Cosa spinge Gina a
non fuggire con la sua bambina dalla tragedia che si consuma a Salò? Potrebbe farlo tranquillamente: non ha collusioni con il regime di cui, semmai, è
diventata vittima indiretta. E cosa spinge Bruno che è pure consapevole (come scrive) della fine disastrosa che li aspetta a inseguire il padre sul sogno di un
nuovo tipo di aereo? A volte pare che quella costante tristezza che lo accompagna sia la premonizione di quel che non può non accadere. E Mussolini, il
Duce? Sa perfettamente di essere il responsabile della morte (anche) di suo figlio e spesso sembra averla percepita e prevista. Dal giorno della morte di
Bruno non sarà (così raccontano) più lo stesso. O forse sarà, finalmente, se stesso.»
I CORPI ESTRANEI (CONCORSO “RIVELAZIONI”)
Italia, 2013, 98’.
Regia: Mirko Locatelli. Sceneggiatura: Mirko Locatelli, Giuditta Tarantelli. Fotografia: Ugo Carlevaro. Montaggio: Fabio Bobbio, Mirko Locatelli. Musica:
Baustelle. Interpreti: Filippo Timi, Jaouher Brahim, Gabriel De Glaudi, Tijey De Glaudi, Dragos Toma, Naim Chalbi, El Farouk Abd Alla. Produzione: Strani
Film, Officina Film, Deneb, in collaborazione con SAE Institute Milano.
Antonio è un padre solo a Milano, dove è arrivato per curare Pietro, il suo bambino di un anno affetto da un grave tumore. Trascorre le giornate badando al
piccolo che deve essere operato e parlando al telefono con la moglie, rimasta in Umbria con il resto della famiglia. Jaber, adolescente tunisino emigrato in
Italia, si reca spesso in ospedale in visita a un caro amico. Il ragazzo riuscirà lentamente ad avvicinarsi allo scontroso e introverso Antonio, inizialmente restio
a qualsiasi confidenza: la malattia si rivelerà un’occasione di incontro tra due anime sole e impaurite, due “corpi estranei” alle prese con il dolore.
Dichiarazione del regista
«Come raccontare la malattia di un bambino e il dolore di un padre? Con quali immagini? Ecco le prime domande che mi sono posto scrivendo I corpi
estranei, come sempre insieme a mia moglie Giuditta Tarantelli, co-sceneggiatrice e co-produttrice dei miei film.
Siamo voluti partire da due parole chiave: dignità e pudore.
La dignità di Antonio, eroe silenzioso, lontano dalla famiglia per proteggere suo figlio; quella di Jaber, poco più che un ragazzino, che si muove quasi sempre
nel buio, come fosse a guardia del corpo, ancora vivo, del suo amico Youssef; e quella di tutti gli uomini e le donne che lottano per la sopravvivenza, propria o
dei propri cari, nella corsia dell’ospedale come tra i bancali di un mercato notturno.
Il pudore, poi: quello che in fase di scrittura avevamo voluto appartenesse ai nostri personaggi, e con cui poi ho voluto raccontarli, come fossero protagonisti
di un documentario, per tutelare i loro corpi, i loro sentimenti, i loro rapporti, quando si scrutano, si odiano, si aiutano o stanno fermi ad aspettare nella
speranza che qualcosa, attorno a loro, possa cambiare.»
FUORISTRADA (CONCORSO “RIVELAZIONI”)
Italia, 2013, 66’.
Regia e sceneggiatura: Elisa Amoruso. Fotografia: Giorgio Horn, Martina Cocco. Montaggio: Chiara Griziotti. Scenografia: Roberta Iaci. Musica: Stefano
Ratchev, Mattia Carratello. Interpreti: Giuseppe Della Pelle, Marioara Dadiloveanu. Produzione: Meproducodasolo, Tangram Film, con il contributo del
MiBACT, A Films.
Pino è un meccanico e campione di rally che decide di diventare donna e di chiamarsi Beatrice. Terminata la sua trasformazione, conosce Marianna, una
donna rumena che si prende cura di sua madre. Le due si innamorano e decidono di sposarsi, entrambe vestite da sposa, sfidando gioiosamente pregiudizi e
convenzioni. Beatrice è sia moglie che marito e sia padre che madre per il figlio di Marianna, che è parte della loro famiglia non convenzionale ma
ugualmente piena d’amore.
Dichiarazione del regista
«Ho sentito il bisogno di raccontare questa storia perché si è presentata ai miei occhi con la forza di una storia d’amore unica, prorompente, fondata su un
sentimento così forte da superare qualunque barriera sociale e culturale. Una famiglia non convenzionale, un’unione diversa, eppure simile a tutte le altre,
fondata sull’amore. Un viaggio alla scoperta dei mutamenti del costume e alla riscoperta di valori innati, mutati nella forma ma solidi nella loro essenza.»
GRUPPO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO (ANTEPRIMA COPIA RESTAURATA)
ITALIA, FRANCIA, 1974, 120’
Regia: Luchino Visconti. Sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, Enrico Medioli, L. Visconti. Fotografia: Pasqualino De Santis. Montaggio: Ruggero
Mastroianni. Costumi: Piero Tosi, Vera Marzot. Scenografia: Mario Garbuglia Interpreti: Burt Lancaster, Silvana Mangano, Helmut Berger, Romolo Valli,
Claudia Marsani, Dominique Sanda.
Un professore di scienze americano che ha ereditato dalla madre italiana un antico palazzo a Roma, vive pressochè barricato nel suo appartamento, tra libri
e documenti d’arte, in egoistica meditazione sui valori della vita e dell’uomo. Un giorno la Marchesa Bianca Brumonti, decisa a regalarlo al suo giovane
amante Conrad, decide di acquistare e di modemizzare l’appartamento del piano di sopra. Prima urtato e poi pressochè rivitalizzato dall’intrusione di Arietta,
figlia di Bianca, di Stefano, compagno di Arietta, e di Conrad, amante e mantenuto, già esponente del Movimento Studentesco del ’68, il professore ne
accetta la rumorosa e talvolta scandalosa “irruzione”. Quando l’equilibrio della stranissima ed eterogenea “famiglia” che si è formata si dimostra insostenibile,
tenta di reagire: ma ormai l’amata solitudine è diventata un pesante fardello.
L’INGANNO (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2014, 38’.
Regia: Ferdinando Cito Filomarino. Fotografia: Clarissa Cappellani. Montaggio: Walter Fasano. Musica: Franco Mannino. Produzione: Enormous Films.
Il film Gruppo di famiglia in un interno di Luchino Visconti viene analizzato e raccontato fin dalla genesi dai collaboratori del maestro, da altri cineasti, da critici
e da raro materiale di repertorio.
Dichiarazione del regista
«Perché Luchino Visconti ha deciso di fare Gruppo di famiglia in un interno? Come si è modificata l’idea del progetto durante la scrittura e la realizzazione?
Con quali collaboratori (Tosi, d’Amico, Lancaster) e perché? L’intenzione è di analizzare il modo in cui quest’opera nasce e si sviluppa, riverberando di senso
politico, senso della morte e dell’amore. E, naturalmente, un radicale e antico senso del cinema.»
HO FATTO UNA BARCA DI SOLDI (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2013, 63’.
Regia, sceneggiatura e montaggio: Dario Acocella. Fotografia: Corrado Serri. Musica: Federico Nardelli, Flavio De Cinti. Int.: Fausto Delle Chiaie, Achille
Bonito Oliva. Produzione: Zerozerocento, Rai Cinema, Fanfara Film, con il contributo della Regione Lazio.
Il documentario racconta la filosofia creativa di Fausto Delle Chiaie, pioniere della Street Art. Nato nel 1944, si è formato seguendo gli influssi della pop art,
dell’arte povera e dell’informale per poi creare uno stile completamente personale. L’artista romano ha sempre cercato di portare l’arte nella vita delle
persone, mostrando le sue opere all’aperto e per le strade e basandosi sul concetto di “infra-azione”, l’azione attraverso cui l’artista colloca e dona le proprie
opere alla comunità. Il titolo del film trae spunto da un’opera di Fausto Delle Chiaie: una barchetta in plastilina riempita di monete da pochi centesimi di euro
per indicare, con pungente ironia, che l’artista può vivere con poco perché la ricchezza di cui si sente pieno è quella che deriva dalla sua creatività interiore,
dal suo sguardo a volte stralunato ma sempre lucido con cui osserva la realtà di tutti i giorni.
Dichiarazione del regista
«Con questo film ho voluto compiere un viaggio nella radice più profonda dell’essere artisti, ovvero nella gratificazione generata dall’esprimere
quotidianamente le proprie esigenze creative. Racconto di un artista che ha scelto di rimanere al di fuori dei circuiti espositivi ufficiali, portando la propria arte
per strada, lì dove il rapporto con il pubblico è diretto. Sono rimasto folgorato dallo sguardo di Fausto sul mondo, ma senza abbandonarmi al clichè dell’artista
pazzo e solitario ho voluto capire se vi fosse un segreto nella sua felicità e se questa potesse nascondere codici universalmente validi per tutti.»
THE HUMAN HORSES (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2013, 54’.
Regia: Rosario Simanella, Marco Landini. Fotografia: Marco Landini. Montaggio: Rosario Simanella. Musica: Jan Maio. Produzione: Associazione Culturale
FuFilm in collaborazione con Bo Film. Distribuzione: Bo Film.
Calcutta è una metropoli feroce ed eccessiva, abitata da più di sedici milioni di persone. Ogni giorno, nelle sue strade calde e polverose, Ibrahim, Ram e Raju
calpestano a piedi nudi l’asfalto, trascinando il loro carretto: sono uomini cavallo, utilizzati dagli abitanti soprattutto per i tragitti brevi. Il loro è un lavoro
estenuante, umiliante e inumano, ma necessario per sopravvivere e mantenere la propria famiglia in una delle città più iperboliche al mondo. I tre uomini ci
portano con loro dall’alba al tramonto, tra i loro affetti, i loro clienti e le loro abitudini e ci mostrano un modo particolare di affrontare la vita, oltre che una
prospettiva di Calcutta complessa e originale.
Dichiarazione dei registi
«In un periodo di grande interconnessione mondiale e standardizzazione di gusti, bisogni e obiettivi, i rickshaw puller e la città di Kolkata rimangono due
mosche bianche in mezzo a ciò che io definisco un appiattimento culturale dilagante e spaventoso. I grandi capitali vorrebbero eliminare la figura degli Uomini
Cavallo e trasformare Kolkata nella nuova Shangai, ovvero un centro urbano moderno di concentrazione di capitali e attività, sostenendo molto ipocritamente
che il loro lavoro è lesivo per la loro dignità. Vorrebbero eliminare anche le migliaia di persone che conducono la loro vita su un marciapiede, scappando dalle
campagne e alla ricerca di qualunque tipo di lavoro in città. Sottolineo: vorrebbero eliminare, non ricollocare. Per adesso non ci sono riusciti. La vita di Kolkata
e degli Uomini Cavallo rimane per me una delle storie più interessanti da raccontare, le ultime testimonianze di essenza vitale in un mondo che si sta sempre
più uniformando. Mostrare la loro vita, la loro dignità, il loro entusiasmo, le loro paure, osservando in maniera silenziosa la loro esistenza, senza dare giudizi,
diventa così quasi una celebrazione della costanza e tenacia dell’animo umano. Il documentario non vuole spettacolarizzare, né fornire insegnamenti allo
spettatore, è un modo di preservare una spontanea bellezza di vita.»
LEVARSI LA CISPA DAGLI OCCHI
ITALIA, 2013, 69’.
Regia: Carlo Concina, Cristina Maurelli. Fotografia: Carlo Concina, Diego Capelli, Matteo Fontana. Musica: Francesco Pederzani. Produzione: Eidonfilm con il
contributo di Cisproject-Leggere Libera-mente.
Nel carcere di massima sicurezza di Milano-Opera, scrittori e artisti vengono invitati “dentro” per creare un ponte con il “fuori”. In un luogo in cui sembra che i
giorni trascorrano tutti uguali, la lettura e la scrittura possono aiutare a ritrovare un senso. Le poesie dei detenuti, i loro scritti e le loro pagine preferite ci
accompagnano in un viaggio all’interno del carcere alla ricerca del significato della parola Libertà, sottolineando come anche in restrizione le persone sentano
la necessità di coltivare la propria anima e di esprimere la propria unicità poetica di esseri umani.
Dichiarazione dei registi
«La vita in carcere è sempre uguale. I detenuti hanno tanto tempo e poco spazio: una cella piccola e spesso affollata (dove trascorrere la gran parte della
giornata), l’ora d’aria in un cubo di cemento vuoto (dove il muro che divide dal mondo di fuori diventa visibile e tangibile), gli spazi di lavoro (per chi può avere
una occupazione). E tanto tempo per pensare, dormire e più spesso guardare la Tv. Poche relazioni, tutte potenzialmente “pericolose”, pochi momenti di
confronto, poco dialogo con gli altri e con se stessi. Per questo lettura e scrittura possono essere la salvezza, un modo diverso di vedere la realtà e di
ripensare il proprio io. Non solo perché permettono di “vivere” mondi diversi, di volare sulle ali della fantasia verso nuovi spazi, ma perché aprono a una
possibile conversazione con se stessi, con gli altri, con territori sconosciuti della propria personalità. E forse facilitano un cambiamento, un ripensarsi, un
rimettersi in gioco.
Il carcere di Milano-Opera, all’interno del quale da quasi vent’anni è stata percorsa faticosamente questa via, con l’instancabile lavoro di volontari ed
educatori, ci è sembrato un ottimo esempio, un paradigma raccontabile e persino esportabile.»
MARINA (ANTEPRIMA)
ITALIA/BELGIO, 2013, 120’.
Regia: Stijn Coninx. Sceneggiatura: Rik D’Hiet, Stijn Coninx. Fotografia: Lou Berghmans. Montaggio: Philippe Ravoet. Scenografia: Hubert Pouille. Interpreti:
Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Evelien Bosmans, Matteo Simoni, Warre Borgmans. Produzione: Orisa Produzioni, Eyeworks Film & TV Drama, Les
Films du Fleuve, con il contributo del MiBACT, con il sostegno di Fondazione Apulia Film Commission. Distribuzione: Movimento film.
Nato nel 1938 in un paesino del meridione, a undici anni Rocco Granata si trasferisce in Belgio con la famiglia per raggiungere il padre, emigrato l’anno prima
insieme a molti italiani per lavorare nelle miniere di carbone. Nonostante le difficoltà iniziali e la diffidenza degli abitanti del posto, il bambino impara presto il
fiammingo e si innamora di una ragazzina bionda, che non dimenticherà mai. Una volta cresciuto, Rocco è deciso a diventare un musicista e crea un gruppo
con cui esibirsi, nonostante il parere contrario del padre. Caparbietà e talento lo porteranno al successo e la canzone «Marina» lo renderà celebre al grande
pubblico.
Dichiarazione del regista
«Non vedo Marina solo come un ritratto fedele della vita di questo interessantissimo artista. In primo luogo è piuttosto la storia universale su temi come
l’integrazione – proprio di questi tempi in cui, dopo la strage di Lampedusa, il tema dell’integrazione dei popoli è tornato di drammatica attualità – ma anche
sui conflitti familiari, l’amore e le passioni che danno un senso alla nostra vita.
Oggi si parla degli extracomunitari come degli esseri alieni, molto distanti da noi per cultura e passato. Un film come Marina ci ricorda che solo pochi decenni
fa in Belgio erano proprio gli italiani ad essere considerati “extracomunitari”, soggetti a ogni tipo di discriminazioni ed angherie e tollerati solo in quanto forza
lavoro a bassissimo costo. Ma con la forza d’animo la comunità italiana è riuscita – anche attraverso la forza della sua cultura – a ritagliarsi uno spazio
importante e a cambiare per sempre la storia del nostro paese. Questo aspetto dovremmo tenere sempre a mente, come l’incontro tra i popoli possa portare
un arricchimento e non necessariamente una minaccia alla cultura dei nostri paesi moderni.»
MAURO C’HA DA FARE (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2013, 88’.
Regia: Alessandro di Robilant. Sceneggiatura: Alessandro Marinaro, Alessandro di Robilant. Fotografia: David Scott. Montaggio: Fabrizio Famà. Scenografia:
Marco Raineri, Iolanda Mariella. Musica: Fabio Abate. Interpreti: Carlo Ferreri, Andrea Borrelli, Cettina Bonaffini, Massimo Leggio, Evelyn Famà. Produzione:
095mm.
In un piccolo paesino dell’Italia meridionale vive Mauro, un trentunenne che, nonostante le due lauree conseguite, fatica a trovare lavoro. Oltre a essere
lasciato dalla fidanzata in favore di un attempato e ridicolo esaminatore, vede svanire il suo sogno di ottenere un posto per un dottorato di ricerca, che viene
assegnato a un raccomandato. Frustrato da questa serie di sfortune, il ragazzo diventa preda della sua stessa intelligenza e inizia a sviluppare manie
depressive, andando incontro a tragicomiche conseguenze.
Dichiarazione del regista
«L’intento è quello di raccontare in termini tragicomici le vicissitudini di un giovane molto istruito e ingiustamente escluso dalle professioni di sua competenza
che, a causa dell’abbandono della fidanzata e alla mancata assegnazione di un posto all’università, comincia a scivolare in comportamenti
maniacodepressivi, che lo portano a fare cose alquanto strane. Il riferimento è ad un certo tipo di commedia francese, dove il personaggio centrale è sempre
un vulcano di idee e di energia spesso strampalate, ma non prive di ingegno. Nel nostro personaggio principale c’è un po’ di quel grande funambolo del
cinema francese degli anni 60/70 che era il grande Louis de Funes. Si possono anche sentire gli echi del cinema tragicomico che ci arriva dal Belgio, e che
sempre mi sorprende per l’ironia tragica (vedi Louise-Michel o Mammuth, o i primi film di Benoît Poelvoorde). A ciò vorrei aggiungere la voglia di raccontare
una storia siciliana lontana dai soliti argomenti trattati quando si parla di Sicilia. Questo è un film che racconta una Sicilia che non si differenzia più, come una
volta, dal resto del Paese, essendo afflitta dagli stessi problemi che ormai accomunano l’intera nazione. Per concludere, mi interessava raccontare una storia
in cui l’argomento mafia fosse totalmente escluso.»
MEDEAS (ANTEPRIMA)
ITALIA, 2013, 98′.
Regia: Andrea Pallaoro. Sceneggiatura: Andrea Pallaoro, Orlando Tirado. Fotografia: Chayse Irvin. Montaggio: Arndt Peemoeller, Isaac Hagy. Scenografia:
Matt Hyland. Interpreti: Catalina Sandino Moreno, Brían F. O’Byrne, Kevin Alejandro, Ian Nelson, Mary Mouser, Maxim Knight, Jake Vaughn, Patrick Birkett,
Angel Amaral, Tara Buck. Produzione: Varient Pictures, Menta Investments.
Nell’arida e polverosa campagna americana l’allevatore Ennis vive con la moglie sordomuta Christina e i loro cinque figli. In famiglia i momenti di scontro sono
frequenti e l’uomo fatica a mantenere il controllo: Christina, trascurata dal marito, inizia una relazione clandestina, mentre i ragazzi sognano di fuggire dalla
condizione di isolamento e dal silenzio soffocante in cui sono immersi. Ennis tenta inutilmente di riportare la calma e l’equilibrio acquistando un televisore, ma
le tensioni diventano sempre più gravi. Alla fine tutti saranno costretti a confrontarsi con i propri desideri e con i propri timori in un contesto in cui il conflitto fra
libertà e controllo, intimità e alienazione, amore e possesso si fa sempre più acceso.
Dichiarazione del regista
«Medeas è uno studio su una famiglia e il suo ambiente che rifiuta le formule strutturali preesistenti per cercare una propria libertà e chiarezza rispetto alle
manipolazioni e ai limiti delle strutture narrative convenzionali. L’intento è quello di un cinema rigoroso e minimalista in cui la narrazione è il risultato
dell’osservazione dei personaggi e non un’imposizione artificiosa su di essi. Il metodo sottostante alla creazione di Medeas è basato in gran parte su impulsi
estetici, sensoriali ed emotivi. Questo film cerca di capire i meccanismi che stanno dietro alla disperazione umana esplorandone le cause scatenanti e le
conseguenze. La storia si basa in parte su fatti realmente accaduti, presi dai giornali e dai verbali dei tribunali, che poi, attraverso una ricerca approfondita
della psicologia umana, sono stati inseriti nella narrazione insieme a vicende personali, ricordi e immagini reali.»
MIRAGE À L’ITALIENNE
FRANCIA, 2013, 90’.
Regia: Alessandra Celesia. Montaggio: Danielle Anezin. Suono: Damien Turpin. Fotografia: Laurent Fénart. Produzione e distribuzione: Zeugma Films.
A Torino un particolare annuncio promette un futuro: “Cerchi lavoro? L’Alaska ti aspetta”. In piena crisi economica, più di una persona è attratta da questa
opportunità: ci sono l’attrice di teatro senza ingaggi, il reduce dall’Afghanistan, la madre ex tossica e molti altri. Tutti vogliono partire, non solo per trovare
lavoro, ma soprattutto per confrontarsi con se stessi e con le proprie ansie e paure. Arrivati nello Yukatat, una terra di nessuno dove il tempo sembra essersi
fermato, una situazione inaspettata li porrà davanti a ulteriori nuove scelte.
Dichiarazione della regista
«A 19 anni mi sono trasferita dall’Italia in Francia, senza esser ben consapevole delle motivazioni. Quando si vive in un paese che non è in stato di guerra,
dove si mangia bene, dove le sere d’estate sono calde e profumate, è difficile capire perché uno salga su un treno e passi 15 anni in suolo straniero. Oggi,
attribuisco il motivo al clima che si respirava nell’Italia degli anni 80. È difficile individuare in anticipo l’inquinamento morale: ti prende alla sprovvista e attacca
i tuoi fragili polmoni senza che tu te ne accorga. Ti dimentichi di prendere lo sciroppo, respiri male, ed è fatta: da un momento all’altro ti ritrovi estranea
all’atmosfera del luogo dove sei cresciuto. Ti senti diverso, una specie di uccello preistorico prossimo all’estinzione; i tuoi alveoli respingono l’aria che altri
respirano senza danni apparenti. Così prendi un treno. Gli anni ’80 hanno reso noi italiani quelli che siamo oggi. Un intero paese è stato riprogrammato
consapevolmente per respirare in modo diverso. Il processo è stato lungo, indolore e inodore. Ed ecco come siamo oggi: col petto in fuori, i polmoni pronti a
inspirare qualsiasi cosa a fondo. E poi, per molti espatriati arriva il giorno in cui raccontare la storia del proprio paese diventa un’urgenza. Se tornare è
impossibile, allora è il momento di parlare. Non si può più far finta di niente. (…)»
LA PASSIONE DI ERTO (ANTEPRIMA)
ITALIA/FRANCIA, 2013, 78’.
Regia e montaggio: Penelope Bortoluzzi. Fotografia: Penelope Bortoluzzi, Stefano Savona. Suono: Jean Mallet, Xavier Thibault. Interpreti: Gli abitanti di Erto.
Produzione: Picofilms, À Vif Cinémas, Dugong.
Nella valle di Erto, un paese delle Alpi friuliane, viene costruita alla fine degli anni Cinquanta la diga del Vajont, che nel 1963, con il crollo di un versante del
monte Toc, causerà la morte di quasi duemila persone. Dall’altro lato della valle, gli Ertani mettono in scena da sempre la Passione di Cristo. La sera del
venerdì santo un Cristo viene tradito, condannato e crocifisso, mentre la Storia va avanti con le sue costruzioni e distruzioni, le sue vittime e i suoi
sopravvissuti, i suoi calvari reali e immaginari.
Dichiarazione della regista
«Il film racconta un paese attraverso i due eventi che ne hanno scolpito la storia: un rito annuale atavico e una catastrofe unica, senza precedenti. Ho cercato
di raccontare una comunità che porta le stimmate della sua storia, i volti di oggi e di ieri, una valle e le sue cicatrici, l’eclissi di un mondo e i suoi vani tentativi
di resistenza, le peripezie tragicomiche di ciò che di quel mondo rimane.»
PICCOLA PATRIA (CONCORSO “RIVELAZIONI”)
Italia, 2013, 110’.
Regia: Alessandro Rossetto. Sceneggiatura: Caterina Serra, Alessandro Rossetto, Maurizio Braucci. Fotografia: Daniel Mazza. Montaggio: Jacopo Quadri.
Scenografia: Renza Mara Calabrese. Musica: Paolo Segat, Alessandro Cellai, Maria Roveran. Interpreti: Maria Roveran, Vladimir Doda, Lucia Mascino, Mirko
Artuso, Giulio Brogi, Diego Ribon, Nicoletta Maragno, Stefano Scandaletti, Roberta Da Soller, Mateo Çili, Valerio Mazzuccato. Produzione: Arsenali Medicei
Cinematografica, Jump Cut, con il contributo del MiBACT, con il sostegno di BLS – Film Südtirol Alto Adige, Trentino Film Commission, Veneto Film
Commission, Friuli Venezia Giulia Film Commission.
Luisa e Renata vivono in un piccolo paese di provincia, da cui desiderano fuggire più di ogni altra cosa al mondo. La prima è vivace e trasgressiva e ha una
relazione con Bilal, un ragazzo albanese che usa a suo piacimento; la seconda è oscura e bisognosa d’amore, ma anche arrabbiata e in cerca di vendetta,
che otterrà sfruttando il corpo dell’amica. Per realizzare il sogno di evasione da una realtà che sta loro stretta, le due ragazze saranno pronte a tutto, anche a
rischiare la vita.
Dichiarazione del regista
«Sarebbero potute accadere in una qualsiasi provincia del pianeta, ma ho cercato nel Nordest italiano le storie che compongono il racconto di Piccola Patria.
Lì ho visto fondersi tra loro quelle atmosfere, la lingua, i volti e i personaggi, le dinamiche personali e di gruppo. Il mio approccio al film è stato fisico: partendo
da una sceneggiatura pronta ad essere distrutta, ho voluto creare un vortice estivo che legasse improvvisazione e osservazione, ricerca e creazione dei
personaggi. Luisa e Renata vogliono andare via da una cultura del lavoro che è solo cercare di far soldi e spesso non riuscirci, via dalla banalità di vite votate
al sacrificio e al silenzio, via dalla rabbia che la mancanza di sogni scatena. Il conflitto è tra due mondi, quello degli adolescenti – vivo, sensuale, libero senza
sapere di esserlo – e quello degli adulti, inerte, rassegnato, doppio. Eppure qualcosa accomuna tutti: una zona oscura, una memoria che segna la carne delle
ragazze e che resta non detta. Il sesso che l’una usa per prendersi gioco del mondo, per sfuggire senza meta alle falsità del conformismo, è per l’altra il modo
cieco di riscattarsi dalla meschinità e dalla violenza, il pretesto per vendicarsi. Il gioco amoroso, amicale e sessuale assume col tempo i contorni tragici di una
realtà che perde per sempre spontaneità e innocenza.»
TAKE FIVE (CONCORSO “RIVELAZIONI”)
Italia, 2013, 100’.
Regia e sceneggiatura: Guido Lombardi. Fotografia: Francesca Amitrano. Montaggio: Annalisa Forgione. Scenografia: Maica Rotondo. Musica: Giordano
Corapi. Interpreti: Peppe Lanzetta, Salvatore Striano, Salvatore Ruocco, Carmine Paternoster, Gaetano Di Vaio, Gianfranco Gallo, Antonio Pennarella,
Antonio Buonomo, Alan De Luca, Marco Mario de Notaris, Esher Elisha, Emanuele Abbate. Produzione: Minerva Pictures, Figli del Bronx Produzioni, Rai
Cinema, con il contributo del MiBACT, Eskimo.
Carmine, un operaio del Comune di Napoli con il vizio del gioco, si ritrova un giorno a riparare una perdita d’acqua nel caveau di una banca e partorisce l’idea
di mettere in atto un incredibile furto. Intorno a lui si costituisce una squadra improbabile composta da un ricettatore, un gangster depresso, un pugile
squalificato a vita e un ex rapinatore divenuto fotografo di matrimoni. Tra imprevisti, minacce e incomprensioni nulla va come dovrebbe e i cinque eccentrici
ladri non riescono a trovare un equilibrio.
Dichiarazione del regista
«Con Take Five ho provato a raccontare la storia di cinque “irregolari”, tutti con un sogno in comune, quello di arricchirsi. Per una forma di riscatto, per
sfuggire ai propri fantasmi, o più semplicemente perché ognuno di loro crede che il denaro sia l’unica cosa per la quale valga la pena vivere. Ma ho voluto
raccontare anche cinque solitudini, che solo per pochi giorni si incontrano in nome di un progetto comune. Presentendo tuttavia che la loro non può che
essere un’unione fittizia, che duri il tempo di una rapina. Fino all’epilogo clamoroso ma inevitabile: la perdita del denaro per cui hanno lottato e la perdita
dell’innocenza…
Girando Take Five ho fatto ricorso, consapevolmente, agli archetipi del film di genere, pur volendo raccontare, a mio modo, una porzione del nostro tempo.
Un tempo, una società, dove le persone sono sole, ossessionate, depresse. Dove i soldi, il successo, la fama rappresentano l’unica forma di riscatto da un
anonimato altrimenti giudicato insopportabile.»
THE SPECIAL NEED
ITALIA/GERMANIA, 2013, 82′.
Regia: Carlo Zoratti. Sceneggiatura: Carlo Zoratti, Cosimo Bizzarri. Fotografia: Julian Elizalde Cancela. Montaggio: David Hartmann. Musica: Dario Moroldo.
Interpreti: Alex Nazzi, Enea Gabino, Carlo Zoratti. Produzione: Detaifilm, Videomante, con il sostegno di Filmfund Hamburg Schleswig-Holstein, Cinestyria,
DFFF, FVG Audovisio, ZDF – Das kleine Fernsehspiel, RAI 3.
Enea è un ventottenne affetto da autismo con un pensiero fisso: fare l’amore per la prima volta. I suoi amici Carlo e Alex decidono di aiutarlo e partono con lui
per la Germania, dove esistono strutture che possono occuparsi del desiderio di Enea con delicatezza e comprensione. Il viaggio dei tre ragazzi diventa
un’occasione per conoscersi meglio, riconoscere i dubbi e le fragilità della vita quotidiana e affrontare le proprie piccole e grandi paure.
Dichiarazione del regista
«Io ed Enea ci conosciamo da quando abbiamo quindici anni. Abbiamo deciso di fare questo documentario quattro anni fa, in piedi davanti alla fermata
dell’autobus n. 11 a Udine. Quel giorno gli ho chiesto se aveva la ragazza: io ne avevo conosciute molte, perché lui no? Nel 2012, quando sono iniziate le
riprese, non sapevamo dove sarebbe arrivata la nostra storia, quale sarebbe stata la strada. Ogni giorno Enea cambiava traiettoria e io dovevo seguirlo,
accettando che fosse lui a guidarmi. A luglio abbiamo consegnato un film finito, imperfetto, sgangherato che non parla solo di sessualità, ma di un’amicizia e
di come siamo fatti noi esseri umani. Non ci dispiace che sia diverso da come ce l’eravamo immaginato all’inizio: facendolo abbiamo scoperto cose
bellissime. Abbiamo conosciuto meglio Enea e anche noi stessi.»
THE STONE RIVER (ANTEPRIMA)
ITALIA/FRANCIA, 2013, 88’.
Regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: Giovanni Donfrancesco. Musica: Piero Bongiorno, Olivier Touche. Produzione: Altara Films, Les Films du
Poisson, Rai Cinema, con il sostegno di Regione Toscana, CNC.
Un anziano scultore vaga nel cimitero di Hope, interrogando le tombe dei lavoratori della pietra che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, partendo da Carrara
e da mezza Europa giunsero a Barre, nel Vermont, dove si aprivano le più grandi cave di granito del mondo. Nel presente della provincia americana, i vivi
prestano voce e corpo ai fantasmi dei loro avi e ritraggono l’epopea tragica di un’intera comunità impegnata nella perenne e titanica lotta contro la pietra, tra
drammatiche battaglie sociali e morti bianche, tra lo splendore dell’arte scultorea e l’utopia anarchica, tra speranza e tragedia.
Dichiarazione del regista
«Realizzando questo film non mi sono mai posto il problema della sua classificazione. Anche se chiaramente sapevo bene di andare oltre il documentario
come lo si intende comunemente. È evidente che c’era un intento di sperimentare nuovi linguaggi. Il film è effettivamente dominato dal cortocircuito temporale
tra passato e presente. Tutto ciò che vediamo nel film appartiene al presente, alla vita quotidiana della cittadina di Barre. Per certi versi si direbbe un comune
documentario di osservazione. Ma tutto ciò che ascoltiamo proviene invece dal passato, dai testi delle interviste fatte agli abitanti negli anni Trenta. Le parole
dei personaggi che vediamo muoversi nel film appartengono ai fantasmi dei loro avi. Con questa scelta ho inteso rimettere in discussione le certezze su cui
poggia l’esperienza cinematografica di chi guarda. La realtà e l’immagine che ci appare sotto gli occhi non risponde solo al presente ma nasconde uno strato
inferiore, profondo, che arriva direttamente dal passato, dal nostro vissuto di comunità.»
STOP THE POUNDING HEART
ITALIA/USA/BELGIO, 2013, 100’.
Regia e sceneggiatura: Roberto Minervini. Fotografia: Diego Romero Suarez-Llanos. Montaggio: Marie-Hélène Dozo. Interpreti: Sara Carlson, Colby Trichell,
Leeanne Carlson, Tim Carlson, Katarina Carlson, Christin Carlson, Grace Carlson, Linnea Carlson, Emma Carlson, Timothy Carlson, Noah Carlson, Judah
Carlson, Seth Carlson, Dixie Carlson, Tayler Laflash, Linda Trichell, Todd Trichell, Curtis Trichell. Produzione: Pulpa, Ondarossa Film, Poliana Productions.
Sara è un’adolescente che vive in Texas con gli undici fratelli più piccoli e con i genitori, che l’hanno educata alla devozione, alla sottomissione agli uomini di
famiglia e alla castità in attesa di un uomo che la sposi. La sua giovane vita è dedicata all’economia domestica, all’educazione dei fratellini e alla lettura della
Bibbia. L’incontro con Colby Trichell, allevatore di tori e cowboy da rodeo, turba la quotidianità della ragazza, precipitandola in una crisi profonda.
Dichiarazione del regista
«Io lavoro esclusivamente con persone reali in ambienti veri, quindi non ci sono gli attori coinvolti in senso tradizionale. Allo stesso tempo, la base della storia
è mia per cui si può dire che la mano del regista è presente. Il mio coinvolgimento con queste comunità è un’esperienza profondamente intima, e ha richiesto
molta fiducia reciproca. Erano disposti a mostrare a me le loro vite perché io le mostrassi correttamente al pubblico. Oltre alla possibilità di allacciare relazioni
che si coltivano di solito nel tempo, mi hanno dato lo spunto per cambiare il mio stile di ripresa, ciò che ha permesso alle persone di sentirsi a proprio agio di
fronte alla telecamera . La mia produzione è costituita da una troupe di cinque persone, nessuna illuminazione artificiale e una sola ripresa. Si potrebbe dire
che questo film segue le tradizioni di Rossellini e Bresson, quest’ultimo una volta ha detto che più che al realismo, era interessato alla verità. Questa frase mi
è sempre rimasta in mente.»
SUMMER 82 WHEN ZAPPA CAME TO SICILY (ANTEPRIMA)
ITALIA/USA, 2013, 82’.
Regia: Salvo Cuccia. Fotografia: Clarissa Cappellani. Montaggio: Benni Atria. Musica: Frank Zappa, Dweezil Zappa. Interpreti: Frank Zappa, Gail Zappa, Diva
Zappa, Moon Zappa, Mathilda Doucette Zappa, Dweezil Zappa, Megan Zappa, Massimo Bassoli, Tanino Liberatore, Steve Vai, Thomas Nordegg.
Produzione: Abra & Cadabra, Rai Cinema, Zappa Family Trust, con il sostegno di Regione Siciliana – Assessorato del turismo dello sport e dello spettacolo,
Sicilia Film Commission.
Salvo Cuccia ripercorre il viaggio fatto con il padre più di 30 anni fa per assistere a uno storico concerto di Frank Zappa tenutosi a Palermo il 14 luglio del
1982, interrotto dopo solo venti minuti a causa degli scontri tra il pubblico e la polizia. Unendo ai propri ricordi rari filmati di repertorio e le testimonianze della
moglie e dei figli di Zappa e di Massimo Bassoli, amico e biografo del musicista, il regista ricostruisce le atmosfere e il contesto dell’epoca e torna sui luoghi
d’origine del genio italoamericano.
Dichiarazione del regista
«La musica di Frank Zappa è sempre stata di ispirazione lungo il mio percorso artistico: grande dissacratore, Zappa mette in relazione mondi diversi
incidendo con la sua opera il punto di contatto più forte tra il rock, il jazz, il funk e la musica colta del ‘900. Non avrei mai immaginato, però, di fare un film con
le musiche e le immagini di Frank Zappa, di incontrare i suoi familiari, di diventare amico di Massimo Bassoli, di utilizzare i super8 di mio padre e di
coinvolgerlo a distanza di anni in questo racconto corale a cui partecipano anche mia moglie e mia figlia. La vita è fatta di materiali contrastanti e così anche
l’arte, e a volte l’una cambia il percorso dell’altra, in un dialogo continuo.»
L’UOMO SULLA LUNA (CONCORSO “RIVELAZIONI”)
Italia, 2013, 58’.
Regia: Giuliano Ricci. Sceneggiatura e montaggio: Giuliano Ricci, Max Luvero. Fotografia: Davide Artusi, Sabina Bologna, Gianmarco Gaviani. Produzione:
FREIM.
In un paesino sulle montagne della Sardegna, alcune vedove raccontano il loro legame con il mondo dei morti, vissuto con intensità, leggerezza e ironia. Le
faide, le violenze e gli omicidi s’intrecciano alle visioni dei defunti, ai contatti con l’aldilà e ai sogni, anticipatori di sventure. Riemerge dal passato un
immaginario disperso dall’arrivo della modernità o, nella visione di alcuni, dal momento in cui l’uomo ha messo piede sulla luna.
Dichiarazione del regista
«L’uomo sulla luna è un film nato per raccontare una realtà scomparsa, rimasta nei ricordi degli anziani, il mondo della società pastorale sarda e il suo
immaginario legato al mondo dei morti. I paesi della Barbagia sono stati coinvolti in faide secolari che hanno portato alla scomparsa di intere famiglie. Il
dovere della vendetta e della giustizia personale ha portato a una stretta convivenza con la morte influenzando profondamente l’immaginario di questa
società. E’ una realtà isolata, chiusa in se stessa, che per lungo tempo ha mantenuto intatte le sue leggi e i suoi valori. Nella vita sociale del paese la donna
svolgeva un ruolo fondamentale. L’uomo passava mesi lontano da casa, in campagna, con il gregge. La donna da sola, si occupava sia dell’amministrazione
della famiglia, sia di tramandare la tradizione orale, storie e leggende di una realtà in cui la morte violenta era parte della vita quotidiana.»