0- Antipodean Manifesto 1986 |
L’Arte Aborigena Australiana incontra de Chirico
Museo Carlo Bilotti-Aranciera di Villa Borghese, Roma
dal 4 luglio al 2 novembre 2014
Roma, luglio 2014
Sensibilizzare il pubblico europeo nei confronti dell’arte indigena australiana, una delle più brillanti espressioni dell’arte attuale, contrastando la tendenza a interpretarla in termini puramente etnografici; collegare la pittura aborigena australiana Western Desert all’arte contemporanea, in particolare al contenuto metafisico dell’arte di de Chirico ed alla sua concezione del mondo e della natura dell’essere: questi i messaggi più significativi e originali di Dreamings. L’Arte Aborigena Australiana incontra de Chirico.
La mostra è ospitata al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese, uno degli spazi romani più idonei per l’accoglienza dell’arte contemporanea, la cui collezione permanente comprende 18 lavori di Giorgio de Chirico, sui quali in questa occasione ricade l’attenzione per un inedito accostamento.
La mostra infatti crea un ponte tra un concetto della tradizione indigena australiana – dreaming o dreamtime, il tempo del sogno – e la poetica dechirichiana, relazione particolarmente evidenziata nella sezione dedicata alle opere di Imants Tillers, uno degli artisti più rappresentativi dell’Arte Aborigena attuale, nella project room al primo piano. Dreaming per gli aborigeni è quel tempo spirituale precedente alla storia e alla creazione del mondo degli uomini.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura.
La cura della mostra è di Ian Mc Lean e Erica Izett. Il primo è Research Professor in Contemporary Art, University of Wollongong, Australia ed autore di numerosi testi sull’arte Indigena Australiana. Fa parte del comitato scientifico delle riviste Third Text e World Art. Erica Izett da anni opera nello stesso settore di ricerca.
Dreamings. L’Arte Aborigena Australiana presenta più di 50 opere – tra le più interessanti dal punto di vista qualitativo – eseguite prevalentemente in acrilico a partire dagli anni ’90 dai più importanti artisti indigeni australiani contemporanei, esemplificative dei diversi stili e delle varie scuole artistiche delle regioni desertiche centrali e occidentali dell’Australia.
Le opere provengono in gran parte da una delle più rappresentative collezioni private del settore, quella dei francesi Marc Sordello e Francis Missana. Per il Museo Bilotti – nato in occasione di una donazione privata – è un’opportunità per riaprire il filone di ricerca sul collezionismo di arte contemporanea avviato da anni con diverse mostre già realizzate.
Le opere degli artisti in mostra possono ascriversi al movimento Western Desert, che raggruppa artisti indigeni provenienti da comunità di una vastissima zona d’Australia (600.000 Kmq) molto poco popolata. Inoltre, in esposizione, vi sono anche opere di due artisti indigeni di cultura urbana, Christian Thompson e Judy Watson, che, con stile contemporaneo, affrontano i temi del territorio e dell’identità.
Meno del tre per cento della popolazione australiana è indigena; un gran numero vive nelle zone urbane mentre solo una minoranza è rimasta nella propria terra nativa o nelle vicinanze, in zone scarsamente popolate e remote. La maggior parte dell’arte indigena proviene da questa Australia lontana dando vita ad una cultura ibrida che combina tradizioni indigene e occidentali.
Nata negli anni ‘70, solo a partire dai primi anni ’80, l’arte Western Desert ha smesso di essere relegata nei musei etnografici per collegarsi con l’arte contemporanea. Complice di questa evoluzione, il dibattito su post-colonialismo e globalizzazione e sul post-modernismo, condotto da giovani artisti e curatori di mostre, il cui esponente principale è stato Imants Tillers. Da allora, i dipinti in acrilico su tela della comunità Western Desert hanno attirato l’attenzione prima del mondo dell’arte e, subito dopo, del suo mercato.
Si possono individuare due filoni espressivi principali, quello degli artisti che ancora vivono nelle comunità remote – che dagli anni ’80 in poi sono entrati in contatto con la comunità artistica internazionale, attraverso i libri, le riviste, le visite ai musei e la frequentazione degli artisti occidentali – e quello degli artisti urbani di tradizione indigena, che, pur essendo educati nelle scuole e nelle università, mantengono contatti con la cultura dei nativi. Nell’insieme si tratta comunque di un’arte di affermazione di valori originari e antichi ma che assume anche un valore di barometro del cambiamento del mondo.
Gli artisti in mostra
Jimmy Baker, Lydia Balbal Wugulbalyi, Paula Paul Kuruwarriyingathi Bijarrb, Jan Billycan Karrimarra (Djan Nanudie), Michael Nelson Jagamarra, Paddy Sims, Emily Kame Kngwarreye, Billy Koorubbuba, Carol Golding Maayatja, Claudia Moodoonuthi, Bessie Sims Nakamarra, Eubena Nampitjin, Esther Giles Nampitjinpa, Nyurapayia Bennett Nampitjinpa, Susie Bootja Bootja Napaltjarri, Lucy Yukenbarri Napanangka, Dorothy Robinson Napangardi, Judy Watson Napangardi, Lily Kelly Napangardi, Maggie Watson Napangardi, Lorna Fencer Napurrula, Nyarapyi Giles Ngamurru, Elisabeth Nyumi Nungurrayi, Naata Nungurrayi, Nora Wompi Nungurrayi, Tiger Palpatja, Minnie Motorcar Pwerle, Christian Bumbarra Thompson, Wingu Tingima, Mick Woma (Pegleg) Brown Tjampitjinpa, Boxer Milner Tjampitjin, Sam Willikati Tjampitjin, Clifford Possum Tjapaltjarri, Billy Whiskey Tjapaltjarri, Warlimpirrnga Tjapaltjarri, Long Tom Tjapanangka, Tjumpo Tjapanangka, Whiskey Tjukangku, George Ward Tjungurrayi, Willy Tjungurrayi, Johnny Warangkula Tjupurrula, Hector Burton Tjupuru, Prince of Wales, Judy Watson.
Mostra prodotta con il Patrocinio dell’Ambasciata d’Australia in Italia ed il sostegno della Collezione Sordello Missana.
________________SCHEDA INFO MOSTRA
Mostra Dreamings. L’Arte Aborigena Australiana incontra de Chirico
Dove Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese
Viale Fiorello La Guardia, Roma
Inaugurazione
Quando
Biglietti
Orario 3 luglio 2014 ore 18.00
4 luglio 2014 – 2 novembre 2014
Intero € 8,00; Ridotto € 7,00
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente
Ottobre – maggio: da martedì a venerdì ore 10.00 – 16.00 (ingresso consentito fino alle 15.30). Sabato e domenica ore 10.00 – 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30).
Giugno – settembre: da martedì a venerdì ore 13.00 – 19.00 (ingresso fino alle 18.30). Sabato e domenica ore 10.00 – 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30).
Promossa da
Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali; Collezione Sordello Missana; University of Wollongong, Australia; Ambasciata d’Australia in Italia
Mostra e catalogo a cura di
Ian McLean e Erica Izett
Catalogo della mostra
THE BRIDGE AUSTRALIA-PTY LTD
Con la collaborazione di
Banche Tesoriere di Roma Capitale (BNL – Gruppo BNP Paribas, Unicredit Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena), MasterCard Priceless, Vodafone
Con il contributo tecnico di
Sponsor mostra
La Repubblica
Gala, Restaurant de Bacon, Nova Pangea
Organizzazione
Zètema Progetto Cultura
Servizi di sorveglianza Travis Group
Info Tel 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)
www.museocarlobilotti.it; www.museiincomune.it, www.zetema.it
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Rome, July 2014
Sensitise Europeans to indigenous Australian art, one of the most brilliant current artistic expressions, combating the tendency to interpret it in strictly ethnographic terms; link Australian aboriginal Western Desert painting with contemporary art and in particular with the metaphysical content of the art of Giorgio de Chirico and his conception of the world and the nature of being: these are the two main thrusts of the exhibition Dreamings: Australian Aboriginal Art meets De Chirico.
The exhibition is housed in the Museo Carolo Bilotti in Villa Borghese, one of the most appropriate venues in Rome for contemporary art shows. The museum’s permanent collection includes 18 works by Giorgio de Chirico, with fresh attention focused upon them in this novel juxtaposition with aboriginal art.
The exhibition establishes a bridge between a concept in the Australian indigenous tradition – dreaming or dreamtime – and De Chirico’s artistic conceptions. This is highlighted in particular in the section dedicated to the works of Imants Tillers, one of the most representative artists of current aboriginal art, in the project room on the first floor. For the Aborigines, dreaming is the spirit time that precedes history and the creation of the world of men.
The initiative is promoted by Roma Capitale, Commission for Culture, Creativity and Promotion of the Arts – Capitoline Superintendency of Culture Heritage together with Zètema Progetto Cultura.
The exhibition is organised by Ian McLean and Erica Izett. Ian is Research Professor in Contemporary Art, University of Wollongong, Australia and author of numerous writings on Australian indigenous art. He is a member of the scientific committee of the magazines Third Text and World Art. Erica has been active for years in the same area of study.
Dreamings: Australian Aboriginal Art presents more than 50 works – representing some of the best in terms of quality – executed mainly in acrylic starting in the 1990s by the preeminent contemporary Australian indigenous artists, exemplifying the various styles and schools of the central and western desert regions of Australia.
Many of the works come from, the Marc Sordello and Francis Missana Collection (France), one of the most representative private collections of this genre. For the Museo Bilotti – which was founded on the basis of a private donation – it is an opportunity to reopen the exploration of contemporary art collections that has characterised its exhibition for years.
The works of the artists on exhibit are part of the Western Desert movement, which includes indigenous artists from communities across a large and sparsely populated region of Australia (600,000 square kilometres). The exhibition also includes works by two urban indigenous artists, Christian Thompson and Judy Watson, who explore the themes of land and identity in a contemporary style.
Less than three percent of the Australian population is indigenous. Most Aborigines live in cities whereas only a small minority have remained in or near their sparsely populated and remote native lands. Most aboriginal art comes from this remote Australia, giving life to a hybrid culture that combines indigenous and occidental traditions.
Emerging in the 1970s, it was not until the early ‘80s that Western Desert art stopped being relegated to ethnographic museums and joined with the stream of contemporary art. Partner in this development was the debate on post-colonialism, globalisation and post-modernism conducted by young artists and exhibition organisers, whose principal exponent was Imants Tillers. Since then, the works in acrylic on canvas of the Western Desert community attracted the attention of the art world and immediately thereafter, that of the art market.
Two principal expressive currents may be identified: that of the artists who still live in their remote communities – who came into contact with the international arts community starting in the 1980s through books, magazines, visits to museums and time spent with occidental artists – and that of urban artists of indigenous tradition, who are educated in schools and universities but have always maintained contact with the culture of their forebears. Together, it is an art that affirms original and ancient values while also serving as a barometer for change in the world.
The artists in the exhibition:
Jimmy Baker, Lydia Balbal Wugulbalyi, Paula Paul Kuruwarriyingathi Bijarrb, Jan Billycan Karrimarra (Djan Nanudie), Michael Nelson Jagamarra, Paddy Sims, Emily Kame Kngwarreye, Billy Koorubbuba, Carol Golding Maayatja, Claudia Moodoonuthi, Bessie Sims Nakamarra, Eubena Nampitjin, Esther Giles Nampitjinpa, Nyurapayia Bennett Nampitjinpa, Susie Bootja Bootja Napaltjarri, Lucy Yukenbarri Napanangka, Dorothy Robinson Napangardi, Judy Watson Napangardi, Lily Kelly Napangardi, Maggie Watson Napangardi, Lorna Fencer Napurrula, Nyarapyi Giles Ngamurru, Elisabeth Nyumi Nungurrayi, Naata Nungurrayi, Nora Wompi Nungurrayi, Tiger Palpatja, Minnie Motorcar Pwerle, Christian Bumbarra Thompson, Wingu Tingima, Mick Woma (Pegleg) Brown Tjampitjinpa, Boxer Milner Tjampitjin, Sam Willikati Tjampitjin, Clifford Possum Tjapaltjarri, Billy Whiskey Tjapaltjarri, Warlimpirrnga Tjapaltjarri, Long Tom Tjapanangka, Tjumpo Tjapanangka, Whiskey Tjukangku, George Ward Tjungurrayi, Willy Tjungurrayi, Johnny Warangkula Tjupurrula, Hector Burton Tjupuru, Prince of Wales, Judy Watson.
The exhibition is produced by the Sordello Missana Collection with the support of the Australian Embassy in Italy and the Australian Council for the Arts.
EXHIBITION INFO
Exhibition Dreamings: Australian Aboriginal Art meets De Chirico
Where Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese
Viale Fiorello La Guardia, Rome
Inauguration
Dates
Tickets 3 July 2014, 18:00
4 July 2014 – 2 November 2014
Full €8.00; Reduced €7.00
Free to certain categories according to current ticketing policy
Opening times
Promoted by
October to May: from Tuesday to Friday at 10:00 to 16:00 (entry permitted until 15.30); Saturday and Sunday from 10:00 to 19:00 (entry permitted until 18.30).
June to September: from Tuesday to Friday at 13:00 to 19:00 (admission until 18:30). Saturday and Sunday from 10:00 to 19:00 (entry permitted until 18.30).
Roma Capitale, Commission for Culture, Creativity and Promotion of the Arts – Capitoline Superintendency of Culture Heritage; Sordello Missana Collection; University of Wollongong, Australia; Australian Embassy in Italy
Exhibition and catalogue organised by
Ian McLean and Erica Izett
Exhibition catalogue
THE BRIDGE AUSTRALIA-PTY LTD
With the collaboration of
Banche Tesoriere di Roma Capitale (BNL – Gruppo BNP Paribas, Unicredit Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena), MasterCard Priceless, Vodafone
With technical support from
Exhibition sponsor
La Repubblica
Gala, Restaurant de Bacon, Nova Pangea
Organisation
Zètema Progetto Cultura
Security Travis Group
Info Tel. 060608 (every day 9:00 – 21:00)
www.museocarlobilotti.it; www.museiincomune.it, www.zetema.it
_____________LA COLLEZIONE SORDELLO MISSANA:
LA PITTURA ABORIGENA CONTEMPORANEA DEL DESERTO OCCIDENTALE AUSTRALIANO
di Ian McLean
Questa mostra si propone innanzitutto di esporre una cospicua selezione di opere rappresentative del movimento di pittura acrilica Aborigena. La collezione Sordello Missana da cui proviene la maggior parte delle opere è costituita essenzialmente da opere create nell’ultimo decennio nelle comunità più isolate nei deserti occidentali e centrali dell’Australia. In queste comunità, le culture indigene sono sopravvissute all’aggressione della modernità e, nonostante i numerosi cambiamenti, si sono conservate sostanzialmente integre. Come le culture europee, hanno saputo adattarsi alla modernità: sono tradizioni viventi. Pur essendo cambiate sotto molti aspetti, è comunque possibile ravvisare una certa continuità di una cultura che segue il suo corso evolutivo. Le lingue autoctone vengono ancora parlate in tutto il territorio e le cosmologie tradizionali trovano ancora eco nella vita odierna degli Aborigeni e nelle loro pratiche culturali contemporanee.
In molte regioni dell’Australia la colonizzazione è stata talmente rapida da sconvolgere per sempre l’eredità culturale indigena e di molte comunità non è rimasta traccia. Le condizioni geografiche del deserto hanno tuttavia consentito di opporre resistenza a una rapida colonizzazione e qui l’economia moderna è stata introdotta piuttosto lentamente, consentendo alle popolazioni indigene di adattarsi gradualmente. Dalla fine del diciannovesimo secolo, numerose popolazioni indigene del deserto si spostavano liberamente tra due mondi e, così facendo, le cosmologie tradizionali iniziarono ad assimilare alcuni aspetti della cultura proveniente dall’esterno.
La cultura del Deserto Occidentale nel suo complesso, comprende circa 40 gruppi dialettali distribuiti su di un territorio più esteso della Francia. Fino agli anni sessanta i contatti con l’esterno erano molto rari, salvo alcuni gruppi di popolazioni aborigene che si spostavano anche oltre le frontiere. Nelle zone desertiche più interne, i popoli aborigeni vivevano come erano vissuti per millenni, praticando l’economia dei cacciatori-raccoglitori, sostituita in parte da contatti occasionali con attività moderne di vario genere, dagli allevamenti di bestiame alle missioni ai margini dei loro territori.
La pittura del Deserto Occidentale
Con il termine “pittura del Deserto Occidentale” si definisce oggi la produzione artistica delle comunità Aborigene più isolate in sei aree desertiche situate nell’Australia centrale e occidentale – su di una superficie pari all’Italia, la Francia e la Germania messe assieme. La popolazione totale di queste comunità disseminate nell’immensità del deserto, è di sole 30.000 persone, rispetto ai 210 milioni di persone che vivono oggi appunto in Italia, Francia e Germania.
Il movimento artistico del Deserto Occidentale iniziò nel 1971 e, come spesso avviene, prese le mosse da una località in particolare, Papunya, da cui poi si diffuse assumendo via via caratteristiche regionali. Papunya è un piccolo centro dell’Australia centrale creato nel 1959 per accogliere e modernizzare le condizioni di vita degli ultimi Aborigeni che ancora vivevano secondo gli stili di vita tradizionale nei remoti deserti Great Sandy, Little Sandy e Gibson. Le opere qui esposte provengono per la maggior parte da oltre una decina di centri artistici isolati nel Deserto Occidentale, ma sono rappresentate anche altre comunità. Agli studiosi di quest’arte non sfuggiranno le particolarità delle diverse scuole e anche lo stile inconfondibile di ciascun artista, ma i più avranno l’impressione che si tratti di un’unica Scuola d’arte. E in un certo senso lo è. Come per i vari movimenti artistici modernisti sviluppatisi in Europa, la pittura del Deserto Occidentale presenta stili, contenuti e storie simili.
Il movimento è frutto di un processo di autodeterminazione iniziato negli anni settanta, dopo che agli Aborigeni furono concessi gli stessi diritti civili degli altri australiani. In questo periodo il governo assunse il controllo delle missioni e gli Aborigeni fecero gradualmente ritorno alle loro terre di origine, aggregandosi in comunità isolate. E fu qui che nacquero i primi centri d’arte destinati a diventare il fulcro dell’attività culturale ed economica di quelle popolazioni. Gli artisti che operano in questi centri sono per lo più gli anziani con una profonda conoscenza della legge e dei rituali su cui si basa la loro pittura. Molti appartengono alle comunità di cacciatori-raccoglitori in cui sono nati e cresciuti e, nonostante i prolungati contatti con la modernità, dimostrano attraverso la loro arte l’efficacia e la persistenza delle cosmologie indigene anche in un contesto moderno. Questo movimento pittorico rappresenta per loro uno strumento per capire, criticare e adattare al mondo moderno le proprie tradizioni e viceversa. E’ attraverso l’espressione artistica che cercano di trasmettere – sia all’interno che all’esterno delle loro comunità – l’ontologia Aborigena o le loro credenze sulla natura dell’essere, oltre a sviluppare un’economia che consenta loro di vivere nel nuovo mondo. Attualmente i centri d’arte sono disseminati in tutte le zone più isolate dell’Australia Aborigena, dove fungono da fulcro per la vita delle comunità e la sostenibilità culturale.
L’ arte di queste popolazioni isolate rappresenta una possibilità di restare in contatto con il proprio passato dal quale sono state irrimediabilmente sradicate dalla catastrofe della modernità. L’unicità della loro pittura è dovuta al fatto che gli artisti si ispirano agli stili pittorici tradizionali per creare un’arte che parla delle proprie credenze e speranze. Quest’arte, che è al contempo politica e religiosa, rispecchia l’aspirazione contemporanea di queste comunità isolate a conservare un modo di stare al mondo che è profondamente metafisico. Ciascun artista dipinge esclusivamente le storie del Sogno che gli appartengono, ossia, che riguardano il proprio passato ancestrale. Tuttavia, come per la maggior parte degli artisti, ciascuno di loro ha una forte personalità e quindi è molto difficile generalizzare al riguardo.
La collezione Sordello Missana
Sono ben oltre il centinaio le opere che impreziosiscono la collezione Sordello Missana, raccolta nel decennio scorso da due uomini d’affari francesi, residenti ad Antibes. E’ una collezione famosa soprattutto perché è ampiamente rappresentativa di tutto il movimento artistico nel suo complesso, più che focalizzarsi su qualche suo esponente in particolare, anche se di spicco, e pertanto consente di godere di un’eccellente panoramica sulle varietà e le peculiarità della pittura del Deserto Occidentale.
Viene da chiedersi perché mai a due uomini d’affari interessino le opere pittoriche di artisti che vivono all’altro capo del mondo e le cui disperate condizioni di vita appaiono così radicalmente diverse dall’ambiente benestante e cosmopolita di Antibes.
Le motivazioni di questa scelta sono le più diverse e varie. La prima è di carattere personale, visto che uno di loro, Marc Sordello, ha stretti legami familiari con l’Australia dove si reca almeno una volta all’anno, e una volta giunto in Australia l’incontro con l’arte Aborigena è inevitabile, dal momento che i motivi decorativi della pittura del Deserto Occidentale sono ora assurti al rango di emblema dell’identità australiana. L’arte Aborigena ha un enorme successo in Australia dove occupa una parte molto più rilevante del mercato dell’arte contemporanea di quanto ci si aspetterebbe, tenuto conto che la popolazione del Deserto Occidentale non arriva nemmeno allo 0,5% del totale della popolazione australiana (complessivamente la popolazione Aborigena è inferiore al 3% del totale della popolazione australiana). Marc Sordello, che ha studiato arte in un’università australiana, conosce bene questo movimento artistico e ne è rimasto ben presto profondamente affascinato.
Quando Marc Sordello acquistò alcuni quadri per esporli ad Antibes, il suo amico Francis Missana si sentì immediatamente attratto da quello che gli sembrava un aspetto così contemporaneo di quell’arte e propose di creare insieme una collezione. Nel frattempo Marc Sordello si era appassionato a questo movimento artistico; approfittava dei soggiorni annuali in Australia per dedicarsi con calma a visitare le regioni centrali dove poteva incontrare gli artisti e acquisire maggiori conoscenze sulla loro pittura, la loro cultura e la loro storia, tanto da diventare un esperto in quella che può talvolta risultare un’impresa perigliosa.
In secondo luogo è lecito supporre che Marc Sordello e Francis Missana, cresciuti sulle sponde del Mediterraneo, avessero entrambi una particolare sensibilità per la poesia visiva della pittura del Deserto Occidentale. La costa nei dintorni di Antibes era stata la meta privilegiata dei primi modernisti quali Matisse e Picasso che con il loro amore per l’energia e i ritmi dell’arte indigena africana e oceanica, unita a quello per il clima e i paesaggi mediterranei, avevano impresso una svolta irrevocabile al volto dell’arte occidentale.
Come Matisse e Picasso, anche i pittori del Deserto Occidentale rispecchiano l’ambiente in cui vivono, caratterizzato dal sole, da una luminosità intensa e dai colori, che riportano sulla tela con una sicurezza dettata dall’intuito. Hanno una sensibilità invidiabile per le possibilità espressive della pittura e per le sue proprietà formali, che concepiscono come linguaggio poetico visivo. Il gusto per il colore e l’energia intensa nei loro dipinti, traspaiono chiaramente nella collezione Sordello Missana.
Una terza motivazione è ravvisabile nel posto che il mito occupa in entrambe le culture. Entro certi limiti, Matisse e Picasso e in misura ancor maggiore de Chirico, interpretarono il primo dopoguerra alla luce del mito classico mediterraneo. In antichità Antibes era una colonia greca, come dimostra il suo nome di origini greche, Antipolis, che significa la città sull’altro lato, ed era un importante centro di scambi commerciali e snodo delle rotte che solcavano il Mediterraneo dalle coste europee a quelle africane e asiatiche.
Il Mediterraneo ha rappresentato per millenni un canale di comunicazione tra diverse culture, e lo stesso si può dire delle zone desertiche all’interno dell’Australia. Gli artisti del Deserto Occidentale considerano se stessi come delle manifestazioni o reincarnazioni di luoghi particolari – questo è il soggetto principale della loro arte – e questi stessi luoghi sono collegati da una rete complessa di Vie dei Sogni che percorrono in lungo e in largo il deserto arrivando anche oltre i suoi confini, più che mai oggi che i mezzi di trasporto moderni e le telecomunicazioni agevolano i contatti tra le comunità del deserto.
Le reti interculturali del Mediterraneo come quelle del Deserto Occidentale riecheggiano con il nostro vivere odierno e in entrambe le aree geografiche è fortemente sentita la continuità tra luogo, tradizioni antiche e contemporaneità. Questo spiega perché Sordello e Missana abbiano preso questo impegno di promuovere la contemporaneità dell’arte Aborigena, proponendosi inoltre di far superare la consuetudine tutta europea di esporre queste opere in contesti etnografici, considerandole quasi un trofeo della conquista coloniale.
In Australia, dove si trovano le collezioni pubbliche e private più ricche di pittura del Deserto Occidentale, la si può ammirare, per esempio, nel Museo di Arte Contemporanea di Sydney. Esistono inoltre importanti collezioni private di arte Aborigena in Europa, dove l’atteggiamento nei confronti delle scelte espositive dell’arte Aborigena sta iniziando a cambiare. Diversi prestigiosi musei di arte moderna e contemporanea, quali il Museo Ludwig di Colonia, il Museo Tinguely di Basilea, l’IVAM di Valenza e il MAMAC di Nizza, hanno organizzato in questi ultimi anni delle rassegne di dipinti del Deserto Occidentale. L’anno scorso a Documenta, che offre con cadenza quinquennale la più ambita panoramica delle nuove tendenze nell’arte contemporanea, erano presenti per la prima volta le opere del Deserto Occidentale. Inoltre l’AAMU (il Museo di Arte Aborigena di Utrecht) è conosciuto per le frequenti esposizioni di arte Aborigena nell’ambito delle sue rassegne di arte contemporanea. Una delle mostre più recenti, per esempio, ha messo a confronto gli artisti del movimento CoBrA (acronimo formato dalle iniziali delle città di Copenhagen, Bruxelles e Amsterdam), con la pittura del Deserto Occidentale e le opere di altri artisti non Aborigeni che con essi avevano collaborato. Abbiamo seguito il loro esempio proponendo un analogo dialogo però in un contesto italiano.
Nel concepire questa mostra per il Museo Bilotti abbiamo dimostrato molta cautela nei confronti degli artisti che potrebbero offendersi nel vedere le proprie opere esposte in un contesto etnografico, come se si trattasse di una cultura morta, e al tempo stesso abbiamo tenuto conto delle mutate tendenze nella percezione della pittura del Deserto Occidentale in Europa. Gli artisti ci tengono a ribadire che la loro è arte contemporanea e che come tale deve essere esposta. Abbiamo trovato un valido supporto alla nostra causa nella collazione permanente del Museo Bilotti, e in particolare nella sua ineguagliabile attenzione per le opere tarde di de Chirico, per poter organizzare una mostra che, nello spirito cosmopolita dell’arte contemporanea, e con la collaborazione di validi interlocutori, ha consentito che si aprisse un dialogo tra la pittura del Deserto Occidentale e le opere di de Chirico, e ci auguriamo che, forti della vostra immaginazione, lo saprete apprezzare.