FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma
PORTRAIT
XIII edizione
Apertura al pubblico: 27 settembre 2014 – 11 gennaio 2015
MACRO-Sala Enel
via Nizza 138, Roma
La XIII edizione di FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma- è dedicata al Ritratto, inteso non solo come genere che ha accompagnato sin dall’inizio la storia della fotografia, ma anche come strumento di analisi della società contemporanea. FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma, posto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, promosso dall’Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica di Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotto dal MACRO e Zètema Progetto Cultura con la direzione artistica di Marco Delogu, viene ospitato negli spazi espositivi della Sala Enel del MACRO dal 27 settembre 2014 all’11 gennaio 2015.
IL TEMA
Il tema del ritratto verrà affrontato ricostruendone il percorso storico e il ruolo all’interno dell’arte contemporanea, della letteratura e del cinema, sottolineando l’interdisciplinarietà che lega la fotografia ai campi di studio antropologici, filosofici, sociologici e semiotici.
Ragionando in modo così contestualizzato, sarà possibile ricercare nel ritratto i diversi significati della rappresentazione fotografica intesa come strumento di conoscenza dell’altro. Allo stesso tempo si potrà indagare il rapporto che si instaura tra individui e collettività e i processi che, attraverso la fotografia dell’altro, permettono la rappresentazione del proprio io esteriorizzato in opposizione o in alternativa all’autoritratto.
Si rifletterà, infine, sul rapporto che lega la fotografia e la tecnologia ed in particolare su come le ultime rivoluzioni digitali stiano influenzando le modalità di rappresentazione e la pratica fotografica, fino a diventare tema intrinseco dell’opera d’arte.
INAUGURAZIONE
Nel week-end di inaugurazione del Festival si terranno le “Anna GIANESINI-FOTOGRAFIA lectures” (da quest’anno dedicate all’indimenticabile Anna, che per il festival ha sempre lavorato nei rapporti internazionali) con Roger BALLEN, Francesco CATALUCCIO, Larry FINK, Ingar KRAUSS e Thomas ROMA (professore alla Columbia University, con il quale continua la tradizione del festival, dopo Yale, Harvard e Bard, di ospitare le “accademie” statunitensi). Martin BOGREN, Piergiorgio BRANZI, Asger CARLSEN, Alexandra CATIERE, Marco DELOGU, Doug DUBOIS terranno dei talk davanti alle loro opere e sarà allestita una photobook area, dove saranno presenti alcune tra le migliori case editrici e librerie specializzate in editoria fotografica, e si terranno booksigning di molti autori presenti al festival.
PORTRAIT
La mostra, cardine sul quale orbiterà il tema della XIII edizione, sarà una collettiva composta da autori selezionati e suggeriti da fotografi, curatori, critici e direttori di musei di rilievo internazionale.
In particolare Maria Alicata (curatrice e storica dell’arte), Antonio Biasiucci (fotografo), Francesco M. Cataluccio (scrittore), François Cheval (direttore del Musée N. Niepce), Alessandro Dandini de Sylva (fotografo e curatore), Stefano De Matteis (antropologo), Franz Koenig (editore), Per Lindström (critico e curatore), Giuseppe Lisi (saggista), Danilo Montanari (editore), Gil Pasternak (professore De Montfort University), Sandra Philips (curatore Fotografia SFMoMA), Bartolomeo Pietromarchi (direttore della Fondazione Ratti), Carolina Pozzi (curatrice), Leo Rubinfien (fotografo, curatore e saggista), Hans-Christian Schink (fotografo), Marta Sironi (storica dell’arte), Alec Soth (fotografo), Valentina Tanni (curatorice), Mario Trevisan (collezionista) e Paolo Ventura (fotografo) hanno selezionato i lavori di Antonio BIASIUCCI, Martin BOGREN, Piergiorgio BRANZI, Asger CARLSEN, Alexandra CATIERE, Doug DUBOIS, Bernhard FUCHS, Ingar KRAUSS, Zanele MUHOLY, Antonia MULAS, Arthur PATTEN, Jon RAFMAN, Thomas ROMA, Assaf SHOSHAN, Guy TILLIM, Andrea VENTURA, Paolo VENTURA e Oleg VIDENIN.
Oltre alla collettiva, il Festival propone una serie di mostre personali di altissimo rilievo.
Sarà esposto, per la prima volta in Italia, Asylum of the Birds, l’ultimo lavoro di Roger BALLEN, a cura di Marco Delogu, uno dei fotografi più originali del ventunesimo secolo: una serie di ritratti surreali e suggestivi, spesso inquietanti, realizzati nell’arco di molti anni in una casa alla periferia di Johannesburg abitata da persone e animali, in particolare uccelli.
Il MACRO ospiterà anche The Beats di Larry FINK, (prima mondiale, a cura di Peter Benson Miller) il celebre fotografo americano che, in un viaggio on the road nel 1958, realizzò questo ritratto di scrittori, musicisti e artisti della beat generation americana.
FOTOGRAFIA presenta, inoltre, Wrong, la prima personale in Italia di Asger CARLSEN, che raccoglie le sue immagini, apparentemente comuni eppure “truccate” attraverso cicatrici invisibili. A cura di Alessandro Dandini de Sylva.
Quest’anno alcuni vecchi faldoni provenienti dall’Archivio di Stato verranno esposti al pubblico mostrando gli enigmatici volti di uomini e donne indicati come Anarchici. A queste immagini è affiancato il lavoro Conflitto e identità di Adam Broomberg & Oliver Chanarin che ritrae 120 cittadini moscoviti utilizzando una tecnologia per il riconoscimento facciale in aree affollate. A cura di Flavio Scollo.
Il MACRO ospita anche l’eposizione di Ritratti dalla collezione Trevisan (a cura di Mario Trevisan), prima forma di collaborazione ufficiale tra il Festival e una raccolta privata, e i lavori sul fenomeno dell’immigrazione di Nicolò DEGIORGIS, Gianfranco GALLUCCI, Guido GAZZILLI raccolti nella mostra Luoghi comuni, a cura di Maria Alicata e Carolina Pozzi.
COMMISSIONE ROMA
Al dodicesimo anno della Commissione Roma, Marco DELOGU, ha deciso di mettersi in gioco direttamente e di raccontare Roma, la sua città, dopo averla fatta raccontare a grandi fotografi internazionali come Koudelka, Petersen, Parr, Graciela Iturbide, Tillim, e Soth. Nella serie delle lune e dei soli neri di Luce attesa, a cura di Bartolomeo Pietromarchi, si percepisce lo sguardo di chi conosce Roma “dal di dentro”, nella sua natura più intima, nella sua bellezza e nella sua inerzia. “Ecco la Roma di Marco Delogu dove “la notte s’è fatta giorno e il giorno è divenuto notte”. La polarità inversa di una luce e di un luogo che inverte tempo e spazio e dove la luce e il mito, la storia e la natura, inghiottono il reale e lo trasformano in una grande apparizione.
Accompagnano la mostra due racconti, basati sulle immagini notturne di Delogu, di Edoardo ALBINATI e Jhumpa LAHIRI, e un testo critico di Eric DE CHASSEY
ALTRE MOSTRE
Il Festival raccoglie anche le mostre: Sequenze / Essenze di Rodolfo FIORENZA (a cura di Gregorio Botta); Compagni d’elezione di Giosetta FIORONI (a cura di Benedetta Carpi De Resmini); My Vietnam / I ritratti di Gianpaolo ARENA (a cura di Camilla Boemio); Roma, open city di Marco CIPRIANI (a cura di Marco Delogu); Normandy di David SCHIVO (a cura di Giulia Pesole); Tribute to 163rd Signal Photo Co. di Maurizio VALDARNINI (a cura di Manuela Fugenzi); e l’installazione Epifanie (a cura di Antonio Biasiucci e Antonello Scotti) nata all’interno del LAB laboratorio irregolare di Antonio Biasucci;
Inoltre, sarà esposta la mostra dei minori stranieri non accompagnati che partecipano al laboratorio Fotografico di CivicoZero, il centro diurno a bassa soglia di Save the Children. I ragazzi, capitanati da Mohamed Keita, anch’egli arrivato in Italia da solo nel 2009 e oggi responsabile del laboratorio, comunicano attraverso l’obiettivo le loro speranze, le paure e le incertezze, la voglia di dialogare.
CIRCUITO
FOTOGRAFIA vedrà, anche quest’anno, il coinvolgimento di Accademie straniere, spazi istituzionali e gallerie private con i quali il Festival dialoga da anni, per costruire a Roma un circuito sempre più solido dedicato alla fotografia contemporanea.
Importantissima la retrospettiva prodotta e ospitata dall’Accademia Tedesca a Villa Massimo che raccoglie stampe vintage di August SANDER il grande fotografo ritrattista della Germania del primo novecento ed Helmar LERSKI, divenuto celebre alla fine del 1920 per i suoi ritratti d’avanguardia. L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, invece, presenta la mostra Pene condivise del fotografo israeliano Assaf SHOSHAN, borsista nel 2013-2014. Una serie di ritratti dei detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia e delle loro compagne, che Shoshan ha incontrato e fotografato durante la sua residenza a Villa Medici.
Fanno parte del circuito anche le mostre: Tintype Portraits (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione); L’Image Culte (Istituto Nazionale per la Grafica); Emerging European Talents (Officine Fotografiche); Passato prossimo (Santa Maria della Pietà, padiglione 28); Francesco Francaviglia, Daniele Molajoli (Piccolo Cinema America); 25.8.1964. C’era Togliatti (Museo delle Arti e Tradizioni Popolari) e Il mio Pianeta dallo Spazio: Fragilità e Bellezza (Palazzo delle Esposizioni)
PREMI
Tra i 200 progetti arrivati, la giuria internazionale della CALL FOR ENTRY ha selezionato 10 fotografi finalisti che saranno presentati da uno slide show. Il progetto vincitore Hakuro, an Itoshima Almanac di Nigel BENNET, riflette sulla comprensione della realtà e su come i filtri umani la modificano.
Il vincitore della terza edizione del PREMIO GRAZIADEI STUDIO LEGALE PER FOTOGRAFI è, invece, Pietro PAOLINI con un lavoro che espolora la quotidianità venezuelana: The Two Half. Paolini si è aggiudicato una borsa di 5.000 euro per la realizzazione e produzione di un nuovo progetto fotografico, senza vincolo di tema, che sarà esposto durante la successiva edizione.
La VII edizione del premio IILA-Fotografia (a cura di Sylvia Irrazábal) presenta 500 scatti di fotografi emergenti latinoamericani tra cui quelli del vincitore Rodrigo ILLESCAS (Argentina) che trascorrerà una residenza d’artista a Roma per realizzare un lavoro da esporre al Festival nel 2015. Esposto anche il lavoro frutto della residenza 2014 di José ARISPE (a cura di Marco Delogu).
Nelle giornate conclusive verranno invece presentate le opere vincitrici del concorso che rinnova la partnership con il sito di Repubblica.it sul tema del Festival.
PROSSIMAMENTE
La XIII edizione di FOTOGRAFIA darà particolare rilievo ai centri culturali e teatri di periferia che, dalla fine di ottobre, ospiteranno alcune delle opere in mostra. In particolare i lavori di Francesco Francaviglia e Daniele Molajoli, che inaugureranno il loro percorso espositivo al Piccolo Cinema America.
Grande novità di quest’anno è la collaborazione con Milano, città importante per la fotografia italiana. Presso i Frigoriferi Milanesi (via Piranesi, 10), dove tra l’altro hanno sede l’Archivio Ugo Mulas e la Fondazione Forma per la Fotografia, durante Bookcity (14-16 novembre), verranno presentate delle foto di FOTOGRAFIA e, alla fine di gennaio, si esporranno Roger BALLEN, Larry FINK, la commissione Roma di Marco DELOGU, e il lavoro completo di Antonia MULAS, oltre a incontri che coinvolgeranno il pubblico e gli operatori del settore, rappresentanti dell’informazione e dell’editoria, della comunicazione e della cultura.
Scheda Info
Mostra
FOTOGRAFIA. Festival Internazionale di Roma – XIII edizione
Apertura al pubblico
27 settembre 2014 – 11 gennaio 2015
Orari
Da martedì a domenica ore 11.00-19.00; sabato ore 11.00-22.00
(la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio; 24 e 31 dicembre chiusura ore 14 (ultimo ingresso ore 13)
Biglietti
€ 13,50 intero (non residenti); € 11,50 ridotto (non residenti); riduzioni e gratuità secondo la normativa vigente;
Direzione artistica
Il Festival è posto
Marco Delogu
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana
È promosso da
Prodotto da
Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma
Zètema Progetto Cultura
Con l’organizzazione di
Con la partecipazione di
Zètema Progetto Cultura
Accademia di Francia a Roma – Villa Medici
Accademia Tedesca – Villa Massimo
Azienda Unità Sanitaria Locale Roma E – Santa Maria della Pietà
IIla
MiBACT
ICCD – Istituto Nazionale per la Grafica – Museo Arti e Tradizioni Popolari
Officine Fotografiche – Emerging European Talents
Palazzo delle Esposizioni
Forum Austriaco di Cultura
Studio Legale Graziadei
GQuadro Advertising
Save The Children
Media partner
Catalogo
Zero
Quodlibet
Info
Tel 060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00) +39 06 67 10 70 400
Web www.fotografiafestival.it www.museomacro.org www.zetema.it
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ELENCO MOSTRE
PORTRAIT
Collettiva principale
Crani, ANTONIO BIASIUCCI
Selezionato da Stefano De Matteis
Spesso Antonio Biasiucci ci ha spaesati, ora squarcia il risaputo per l’altrove e ci disperde in un “dopo”. Del portrait resta il residuo, la materia. Teschi anonimi dove la storia è presente perche consuma, svuota, erode: non manca loro solo l’identità, sono incompleti e questo li fa astratti, li apparenta ad altre dimensioni del magma che unisce corpo-terra-mare. E così i crani ritornano dalla storia alla natura in un muto canto di dolore che esalta la vita cancellando ogni soggettività. E’ il dopo. E noi lo vediamo prima.
Portaits 2010-2014 MARTIN BOGREN
Selezionato da Per Lindström
Martin Bogren si muove tra gente ordinaria in città ordinarie, sia a casa che nei suoi viaggi. Le sue sono foto-documento, catturate durante lunghe passeggiate fatte la mattina presto o la sera tardi. Quando guardiamo dentro il suo mondo in bianco e nero, dove spazio e tempo sono sempre subordinati all’incontro con un altro essere umano, troviamo un universo fortemente personale e poetico che si costruisce sul mondano e sul reale.
PIERGIORGIO BRANZI
Selezionato da Giuseppe Lisi
I personaggi di Branzi non sono mai isolati dal contesto in cui vivono. Si può vedere come l’osservazione degli ambienti colori i ritratti. Sono sufficienti a Branzi pochi tratti visivi per alludere agli stati d’animo nei quali eccelle: due uova sul banco, una figura geometrica sul fondo, i santi mezzi cancellati… I volti grondano del luogo in cui vivono, dei pensieri che portano: tedio, sogno, desideri, diffidenza, rassegnazione, sfida, sapienza, consapevolezza, vuotaggine, modestia, sospetto.. Queste foto sono degli anni cinquanta quando la civiltà dei consumi non aveva ancora uniformato gli ambienti e le espressione dei volti.
Hester ASGER CARLSEN
Selezionato da Alessandro Dandini de Sylva
In Hester Asger Carlsen rovescia il tema classico del nudo femminile, opponendo alla ricerca della bellezza ideale lo studio della forma femminile come strumento per scardinare gli imperativi documentali della fotografia e i suoi standard di estetica e morale. La tensione tra lo stile realista delle sue fotografie e il loro oggetto irreale ci costringe a mettere in discussione i presupposti di verità e obiettività del mezzo fotografico e a riconoscere i paradossi della fotografia e le contraddizioni del suo rapporto con la realtà.
Here Beyond the Mists ALEXANDRA CATIERE
Selezionato da François Cheval
Continuiamo ancora a vivere. E sempre con una presunzione d’innocenza, più forte che mai. Eppure tutti sembrano rassegnati ad accettare la situazione. I personaggi sanno quello che ci si gioca dall’inizio alla fine. Ma questa fotografia non ha nulla di scettico, è poetica e lucida, consente alla natura di fare il suo corso perche nulla può contro il tempo, la nebbia e la malinconia. La vita è un lotto con le sue figure che non smettono di svanire quando i paesaggi continuano ad abbellire. Un sentimento ambivalente, estraneo, ci spinge ad affrontare questo mondo unico e sconosciuto. Alexandra Catiere ci conduce tutti sullo stesso cammino.
My Last Day at Seventeen DOUG DUBOIS
Selezionato da Alec Soth
Nel 1991 il MOMA allestì una rivoluzionaria esposizione di foto di gruppo, The Pleasures and Terrors of Domestic Comfort. Diversi grandi della fotografia sarebbero nati grazie a quella mostra ma, per quanto mi riguarda, il più memorabile è stato Doug Dubois. Ciò che rendeva Dubois così eccezionale è il modo in cui fotografava la vita di tutti i giorni con un’aurea di accentuata nota drammatica. Piu di vent’anni dopo, Dobois ha ancora il tocco magico. Con My Last Day at Seventeen, Dubois ci mostra il dramma estatico nascosto dietro la vita di tutti i giorni dei ragazzi irlandesi.
Portraits 1994-2001 BERNHARD FUCHS
Selezionato da Franz Koenig
“Portaits”è la prima serie di foto completa di Bernhard Fuchs, realizzata a partire dal 1994, quando era ancora uno studente al Kunstakademie Dussledorf, e conclusasi nel 2001. Le sue immagini hanno sempre a che fare con un ambiente che lui considera personale, il più delle volte si tratta del suo luogo di nascita, la Bassa Austria. Con le sue fotografie, Fuchs entra in un dialogo calmo e sensibile con i suoi soggetti. I suoi ritratti ritraggono le persone in un tutt’uno con il loro ambiente. Grazie alla distanza che, con la macchina fotografica, si crea con il soggetto, il fotografo cattura un livello di vicinanza nuovo e diverso che rivela l’intimità del suo processo percettivo. Le immagini appaiono naturali e familiari, caratteristiche peculiari del lavoro di Bernhard Fuchs.
Dresdner Jugend um 2010 INGAR KRAUSS
Selezionato Hans-Christian Schink
Una macchina fotografica può essere un oggetto magico. Puo cambiare l’uomo. Il fotografo, il ritrattista, l’osservatore. Chi incontra Ingar Krauss forse non riconoscerà, dietro la sua personalità riservata, quella forza empatica che si percepisce in ogni sua singola opera. Probabilmente neanche noi in occasione di un incontro fugace ci accorgeremmo dell’intensità spesso recondita degli adolescenti che emerge invece nelle foto di Ingar Krauss. I loro ritratti mostrano il momento in cui tali energie si sono incontrate e congiunte l’un l’altra. Un momento magico, che non ha bisogno di spiegazioni. Lo possiamo vedere.
Faces And Phases ZANELE MUHOLI
Selezionato da Sandra Philips
Zanele Muholi è una fotografa coraggiosa e onesta. Definirla solo fotografa non è del tutto esatto, però, perche è anche attivista. Le sue fotografie andrebbero guardate come parte del suo attivismo, a ricordarci che quando sentiamo parlare delle donne uccise in Sudafrica per le loro preferenze sessuali, sono proprio loro che intende. Qualcuna di quelle che ha fotografato non è piu viva, qualcuna è stata mutilata. I ritratti della serie Faces e Phases sono testimonianze dirette di lesbiche e transgender, perlopiù nel Sudafrica dove Muholi è nata. Li immortala così come le si presentano, con onestà e schiettezza, senza essere giudicante se non per rammentarci la loro semplice umanità. I soggetti di queste fotografie sono persone come noi e si meritano il rispetto degli altri fratelli e sorelle, ovunque siano. Sono fotografie che fanno onore ai loro soggetti.
Autoritratto ANTONIA MULAS
Selezionato da Francesco M. Cataluccio
Dal 1977 al 1980 Antonia Mulas invitò nel suo studio circa trecento persone che sentiva vicine e fece loro il ritratto in bianco e nero, utilizzando sempre la medesima luce. Una galleria di ritratti che, pur nelle infinite variazioni, ha una sua sorprendente unitarietà. Lo sguardo della fotografa mette a fuoco i volti e i gesti di persone con le quali ha un rapporto diretto o indiretto da una ventina d’anni: familiari, persone note del mondo della cultura e dello spettacolo, personaggi della vita quotidiana che presidiano luoghi a lei consueti. Una sorta di autoritratto attraverso i ritratti degli amici che è una ricapitolazione, artistica e umana, della propria vita.
ARTHUR PATTEN
Selezionato da Antonio Biasiucci
Arthur Patten, americano, scelse di vivere in Italia e di morire in Sicilia. È seppellito a Montaperto in un cimitero di grandi orizzonti. Amava l’Italia, conosceva bene la pittura classica; Antonello da Messina è stato il suo maestro di fotografia. Arturo era una persona rara con un temperamento che era solo il suo. Nessuno somiglierà mai ad Arturo. Da lui ho ereditato la sua macchina fotografica che ha visto occhi che non può dimenticare. Ho il piacere di presentare di Arturo poche foto da me scelte.
New Age Demanded JON RAFMAN
Selezionato da Valentina Tanni
New Age Demanded è una riflessione malinconica sul tempo, oltre che un saggio visivo sulla funzione dell’arte. Ispirato da alcuni versi tratti dal poema di Ezra Pound Hugh Selwyn Mauberly, il progetto consiste in una serie di immagini che fondono passato e presente, archeologia e fantascienza, manualità e tecnologia, cultura alta e bassa. I busti senza volto, scolpiti al computer e poi rivestiti di texture prese a prestito dalla storia dell’arte recente, simboleggiano il sogno perseguito da ogni artista: racchiudere in una sola immagine il sentire
di un’intera epoca, il ritratto del tempo che viviamo.
Mondo Cane – shadow portraits THOMAS ROMA
Selezionato da Leo Rubinfien
Nonostante i nostri cani spesso sembrino amare noi sapiens anche meglio di come noi ci amiamo l’un l’altro, la loro altra faccia e preistorica e selvaggia.
Qui ci troviamo di fronte a degli annusatori-segui traccia, delle lingue razziatrici, dei mangia-frattaglie, parassiti, terroristi. Che idea geniale che ha avuto Thomas Roma, non credete? Quello che dovremmo vedere e lo spirito da bandito del cane tanto nelle sue ombre quanto nel muso e nel suo corpo agile. Magari qualcosa in più. E’ un concetto quasi tanto canino quanto il loro essere meticci.
T.N. ASSAF SHOSHAN
Selezionato da Gil Pasternak
T.N. è una serie fotografica composta da cinque immagini, catturate nel 2010 da Assaf Shoshan nel cuore di Parigi, che mostrano un migrante clandestino proveniente dal Mali in Africa Occidentale. T.N. sono le iniziali di questo personaggio altrimenti anonimo, uno dei tanti altri migranti clandestini che Shoshan ha fotografato nello stesso anno sullo sfondo del suo studio, chiaramente improvvisato, che ha permesso di estrarli da ogni riferimento geografico e dall’ambiente socioculturale.
Soldiers GUY TILLIM
Selezionato da Maria Alicata
Nella serie fotografica Soldiers, realizzata tra il 2002 e il 2003, Guy Tillim ritrae il tragico effetto della guerra quinquennale tra il governo congolese e i diversi gruppi ribelli che reclutarono ragazzi e ragazze come soldati per il conflitto. Le fotografie in mostra ritraggono giovani miliziani Mai Mai durante il loro addestramento. Le immagini non denunciano né esaltano i protagonisti quasi accidentali del conflitto, ma danno vita ad una narrazione drammatica lontana da ogni spettacolarizzazione.
L’intima rivolta del disegno ANDREA VENTURA
Selezionato da Marta Sironi
Alla notizia dell’uccisione di Giacomo Matteotti, il piccolo Albe Steiner con un unico gesto grafico fa la caricatura di Mussolini – “re degli assassini” – affiggendola fuori del portone di casa: l’ultima caricatura ‘libera’ dell’Italia fascista era opera di un ragazzino dalle evidenti doti artistiche, poi definitosi il maggiore interprete della grafica politica italiana. La stessa chiarezza senza equivoci si ritrova nei tanti fulminei ritratti che Andrea Ventura, fin da ragazzo, traccia su supporti e con strumenti del caso, guidato da un senso di rivolta che gli fa ricercare un’umanità perduta indistintamente tra amici, parenti e uomini del passato, perpetuando un’assenza che si fa espressivamente presente, evocando la più autentica cultura visuale europea.
Il funerale dell’anarchico PAOLO VENTURA
Selezionato da Danilo Montanari
Da un fatto di cronaca, un evento che ha scosso le fondamenta della società civile, trae ispirazione il nuovo lavoro di Paolo Ventura: i funerali delle vittime di Piazza Fontana a Milano nel dicembre1969. Ventura è un artista che ritrae se stesso e ne moltiplica le figure fino a farle diventare una folla, l’io e il molteplice in una ossessiva, ostentata ripetizione. Immagini che conferiscono un effetto di profondità, di annuncio e infine di perdita. Lo spaesamento di un viaggio, l’ultimo, tutti insieme e ognuno da solo.
Kids OLEG VIDENIN
Selezionato da Carolina Pozzi
Gli sguardi sicuri dei ragazzi di Oleg Videnin inchiodano l’osservatore con una potenza inattesa,
invitando a non distogliere lo sguardo dai tratti in bilico tra infanzia ed età adulta, innocenza e dura consapevolezza. Storie di transizione, dai tanti inizi e molteplici finali, che emergono dalle campagne di Bryansk per il tempo labile e allo stesso tempo infinito di uno scatto.
La narrazione si apre così a infinite possibilità, mentre nei volti dei giovani protagonisti piccole
vicende quotidiane si intrecciano ai racconti di una terra antica.
Asylum of the Birds ROGER BALLEN
A cura di Marco Delogu
In collaborazione con la Galleria Massimo Minini, Brescia. Testo di Didi Bozzini
Asylum of the Birds è il titolo che Roger Ballen ha scelto per riunire i suoi lavori recenti. Parole nel cui spessore giacciono realtà e significati diversi. Da un lato, un insieme di baracche nei sobborghi di Johannesburg che, tra verità e finzione, ospita un variegato gruppo di abitanti ed un cospicuo numero di uccelli in libertà. Dall’altro, un luogo simbolico nel quale si incontrano terra e cielo, vita e morte, inferno e paradiso. Al tempo stesso rifugio, prigione, nido e gabbia, in esso convivono la colomba bianca ed il corvo nero, l’apparizione biblica che annuncia il futuro o l’ incubo allucinato di una fine senza fine, come nei versi di Poe.
Nell’ambiguità di simboli e metafore, questa raccolta di fotografie delinea un universo che ricorda quello dei Caprichos di Goya. E’ un “sueno de la razon”, un sonno o un sogno della ragione che “produce monstruos”, genera mostri, esseri straordinari, eventi prodigiosi. Un’immersione profonda nei cunicoli del subconscio fino agli inferi, fino ai territori più oscuri dell’Io. Roger Ballen, in effetti, lascia libero il proprio pensiero di regredire al di qua del ragionamento e della logica. Si avventura in quei labirinti della psiche che precedono le idee, nei quali regnano le immagini. Là dove esse nascono seguendo il flusso dell’analogia e si susseguono sotto la spinta di forze incontrollate. Non si giustificano attraverso la costruzione razionale di una scala di valori.
Asylum of the Birds è un universo visionario, alogico e amorale, dove bene e male si fiancheggiano senza escludersi. Il bello non coincide con l’uno, ne ciò che e brutto rappresenta necessariamente l’altro. E’ un luogo in cui anche bello e brutto sono ancora- o ormai – indistinti. Un universo estetico fondato sulla meraviglia, non sull’armonia. Un mondo nel quale l’apparenza non ha nessuna importanza in sé, perché ogni cosa, animale o persona è molto più di ciò che si vede, è un’apparizione. Si manifesta come un involucro materiale, ma al tempo stesso e una reliquia dalla quale l’invisibile può essere evocato. L’opera dell’artista diventa cosi una sorta di rito sciamanico, teso a rivelare ciò che ogni fotografia occulta dietro il proprio aspetto di riproduzione oggettiva della realtà. Talismani, feticci, amuleti. Strumenti di un rito funebre, dapprima, e di una magica celebrazione della rinascita, in seguito. Simboli della caduta e del volo. Visioni di Underworld e Heaven, che convivono all’interno della stessa mente
The Beats LARRY FINK
A cura di Peter Benson Miller
Testo di Gerald Stern e Larry Fink
Queste fotografie di Larry Fink, buie e bellissime, scattate come racconta lui nel 1958, quando aveva 17 o 18 anni, ritraggono un convinto gruppo underground che Larry identifica come i Beat di seconda generazione. Sono gli artisti con cui viveva, poeti, musicisti, pittori che, occupando gli scantinati del Sullivan Street Theatre, non erano “sotterranei” solo in senso spirituale o metaforico, ma proprio in senso stretto. Il Sullivan Street Theatre confinava col Village Gate, il famoso jazz club, e loro, a furia di scavarsi un passaggio dagli scantinati, mattone dopo mattone, fino al retro del locale, riuscirono a sentire suonare Coltrane, Mingus e Art Blakey – per citarne alcuni – i “principi della libertà espressiva” come li definisce Larry. In quel periodo Kerouac stava scrivendo I sotterranei, ma di sicuro nessuno del gruppo di Fink era consapevole della coincidenza. (Gerald Stern)
Il piccolo me si era dato una svegliata e facendo bisboccia in MacDougal Street era incappato in una banda di sballati dove c’erano Turk e Ambrose e Mary e altri, come se l’avesse deciso il destino. Venendo da una famiglia di comunisti, il piccolo me non si sentiva troppo in sintonia con certe astrazioni poetiche del gruppo. Ma per temperamento ero uno di loro. Un giorno vennero a West Hempstead, Long Island, dove stavano i miei, tutti e tredici. Capelli incolti, fare strafottente, non si sarebbero mai aspettati quello che sarebbe successo. La mia controllante madre, marxista convinta, pretese che si facessero tutti la doccia e si rendessero presentabili prima di cena (lei era una pessima cuoca ma il pasto era gratis). Così, uno per volta, si fecero la doccia in stile Long Island e dopo un po’ fu servita la cena. Al mattino ce ne tornammo tutti a NY per partire alla ricerca dello spirito della strada e per reinventarci l’America. Fu così che andò. Cominciammo il nostro viaggio puliti. (Larry Fink)
Wrong ASGER CARLSEN
A cura di Alessandro Dandini de Sylva
Le fotografie di Asger Carlsen documentano un mondo visionario, dove il grottesco, l’assurdo e il surreale assumono i contorni dell’ordinariamente normale. A prima vista, Wrong appare come una collezione di momenti di banale quotidianità, ritratti vernacolari o documenti di piccoli eventi di cronaca. Riconosciamo il contesto di queste immagini come fin troppo familiare, ma le persone e le creature che abitano questa realtà distorta sono tutt’altro. Oscure presenze ibride e geneticamente viziate, personaggi con protesiper arti rudemente fatte in casa, mutanti a due teste e strane conformazioni innaturali: queste sono alcune delle allucinazioni che popolano il mondo distopico di Wrong. Eppure, il profondo senso di disagio provocato dalla vista di queste immagini ha un’altra fonte. Anche se i corpi sono riconoscibilmente costrutti immaginari, la loro esistenza e comunque all’interno del regno del possibile o concepibile. Questo perche la fotografia ha un potere penetrante che la pittura, la scultura o il disegno non hanno: nonostante le riserve della nostra mente critica, siamo costretti ad assumere che l’oggetto raffigurato esiste realmente.
Carlsen crea le sue fotografie catturando le immagini con la macchina fotografica per poi manipolarle e alterarle con un processo di editing digitale. La messa in scena e il ritocco consentono la creazione di illusioni ottiche con cicatrici invisibili. L’illuminazione dura e diretta del flash e la scala di grigi del bianco e nero infondono un tono di autenticità. Nella prefazione alla pubblicazione di Wrong, edita da Morel Books, Tim Barber osserva: “Posso guardare e sapere che nessuno ha due gambe di legno funzionanti, ma eccolo li, ad aspirare il pavimento, e credo in lui, più e più volte”1. L’immagine digitale non condivide più le funzioni essenziali della fotografia volte a documentare l’esperienza. “Il suo effetto trasgressivo e simile a quello del cavallo di Troia: infiltrarsi tra le mura della credibilità per assestare il colpo definitivo”2. Carlsen rappresenta una generazione di artisti che in modo aggressivo sfruttano le potenzialità di editing delle immagini digitali per i loro processi creativi. La sua finzione artistica non concerne la verità o la falsità, ma la nostra facoltà di credere.
Wrong deve essere interpretato come un sollievo dalla realtà. Una visione inquietante e disturbante del quotidiano che ci costringe a mettere in discussione i presupposti di obiettività, memoria e documento del mezzo fotografico. Carlsen attraversa lo specchio della cultura visiva moderna occupando una posizione parallela nella nuova cultura del virtuale e della speculazione. La questione di rappresentare la realtà lascia il passo alla costruzione del senso.
1. Tim Barber, prefazione a Wrong, Mörel Books, 2010.
2. Joan Fontcuberta, I knew the Spice Girls (2005), MACK, 2014.
Conflitto e identità ADAM BROOMBERG & OLIVER CHANARIN
Archivio di Stato di Roma
A cura di Flavio Scollo
Il rapporto tra identità e fotografia è da sempre caratterizzato da una forte conflittualità tra ciò
che è osservato e ciò che è percepito. R. Barthes avvertiva l’atto di essere fotografati come una micro esperienza della morte, che crea e mortifica a piacimento il corpo tramutandolo in un oggetto, riscontrando il pericolo di un’effigie legata ad un io immobile lasciato in balia di un senso che sara attribuito dalla società e dal contesto di fruizione. La fotografia, declinata come strumento archivistico, ha messo più volte in risalto i conflitti latenti tra identità singole e collettiva e lo stato di potere. Eppure, persino nella foto segnaletica che presuppone per sua natura conflittualità, la foto-ritratto non può prescindere dalla cooperazione del soggetto, in quanto egli non si esime dall’assumere una posa, ovvero indossare una maschera di senso.
Dagli Archivi di Stato, per opera di un progetto di ricerca di a cura di Eugenio Lo Sardo e Manola I. Venzo, emerge uno straordinario ritratto collettivo del movimento anarchico nel periodo della sua massima estensione, tra il 1880 ed il 1914. A dettare il senso, più che l’annotazione del reato, e la parola “Anarchico” che li racchiude in una categoria difficilmente esaustiva dell’eterogeneità che rappresentano. Dai ritratti schedati di uomini e donne, ragazzi e adulti, braccianti o intellettuali – scaricati dal peso di una biografia individuale – emerge il difficile rapporto tra i movimenti libertari e socialisti e lo stato monarchico dell’Italia liberale.
Completano il ritratto i moltissimi documenti, opuscoli, volantini e giornali di controinformazione che il movimento ha prodotto. A partire dai primi del Novecento A. Sander tracciò un ritratto della Repubblica di Weimar attraverso ritratti formali delle varie categorie sociali allora presenti. Tale fu l’ampiezza del lavoro da destare preoccupazione nei nazisti che lo censurano, non riscontrandovi l’archetipo dell’ariano. Contestualmente H. Lerski opera una ricerca simile ma il suo lavoro, caratterizzato da inquadrature strette e da una drammatica manipolazione della luce, rigetta la ricerca di un archetipo suggerendo che nulla possa esser desunto dall’apparenza. Traendo ispirazione da entrambi i lavori, Broomberg&Chanarin ripropongono le medesime categorie sociali sugli echi di problematiche simili nella Russia di Putin, fotografando 120 cittadini di Mosca. Per farlo si servono di una tecnologia per il riconoscimento facciale in aree affollate progettata perché sia capace di ricostruire da un singolo frame una posa frontale senza la cooperazione del soggetto o che esso ne sia a conoscenza. L’effetto risultante è una totale spersonalizzazione dell’individuo ed i volti, ridotti a maschere fluttuanti, appaiono appunto come “pezzi di carne con due occhi” (come l’insulto in Yiddish Shtik Fleisch Mit Tzvei Eigen, titolo della loro opera). Per resistere a quest’ennesima incarnazione high-tech del panoptismo, macchina che secondo la definizione di Foucault permette di dissociare la coppia vedere-essere visti, la soluzione proposta è quella di sottrarre la propria immagine attraverso l’uso di uno strumento semplice come il balaclava, il passamontagna icona delle Pussy Riot di cui Y. Samutsevic non a caso è chiamata a interpretare il ruolo del Rivoluzionario.
Luoghi comuni
NICOLÒ DEGIORGIS, GIANFRANCO GALLUCCI, GUIDO GAZZILLI
A cura di Maria Alicata e Carolina Pozzi
Se la fotografia è un dispositivo ottico, frutto di un procedimento di registrazione meccanica delle immagini, quali sono i suoi limiti espressivi? Quale la validità estetica, nell’epoca dell’accessibilità globale ai dispositivi digitali, di i-cloud e di instagram?
Torna dunque fondamentale considerare la posizione quasi politica di colui che scatta: Chi ritrarre e come farlo, la scelta che l’autore compie rispetto all’obiettivo verso il quale rivolgere lo sguardo dell’osservatore, diventa l’elemento discriminante dell’operazione fotografica, mentre la posizione che si assume dietro la macchina e quella di chi intende mostrare qualcosa, isolando una precisa porzione di realtà dal continuo flusso visivo al quale siamo assuefatti. Nicolo Degiorgis, Gianfranco Gallucci e Guido Gazzilli si sono rivolti a un fenomeno particolare, quello dell’immigrazione, con i suoi flussi e le sue dinamiche, concentrandosi ciascuno su aspetti differenti e prospettive personali, ma partecipando alla stessa urgenza narrativa. Emerge una volontà condivisa di ritrarre, nel senso più accurato del termine, che affonda nelle radici etimologiche della parola stessa: re – trahere, ovvero tirare fuori, restituire l’immagine di qualcosa di altro da sé, rispetto al quale porsi in una posizione frontale di studio e osservazione. Muovendo dalla figura umana, la portata dei lavori si allarga a comprendere ampie parti di paesaggio urbano e sociale, per dichiarare apertamente la provenienza delle immagini da contesti familiari e stabilire un’immediata relazione tra soggetto, autore e osservatore. È la ben nota Lampedusa a fare da sfondo alle fotografie di Guido Gazzilli, che lì si è recato più volte, vincendo la riluttanza degli abitanti rispetto a coloro che arrivano dall’esterno: l’immagine fornita dalla stampa di ciò che accade non risponde al reale, ma lo stravolge in termini allarmanti e sensazionalistici. Ahmed si è lasciato ritrarre all’interno dell’abitazione della famiglia che gli ha offerto ospitalità, i suoi ritratti si alternano alle vedute di un’isola dove chi arriva da fuori assomiglia a chi vi è nato, dando corpo a un racconto che procede per momenti e tratteggia il farsi e non farsi della storia.
Gianfranco Gallucci ha realizzato per ciascuno dei 18 stranieri coinvolti – rappresentativi delle comunità più numerose di Roma – un triplice ritratto, in una sorta di destrutturazione pirandelliana del soggetto. Uno scatto a casa, uno sul posto di lavoro e un’immagine del luogo preferito della capitale attraversano la superficie dell’io pubblico e di quello privato, per veicolare episodi di integrazione riuscita, vicini alle tante storie recenti ma dimenticate di emigrazione italiana. La molteplice prospettiva di Gallucci sembra forzare le logiche convenzionali del ritratto e preferire una visione simultanea, più adatta ad affrontare la complessità della questione identitaria.
Sono invece le dinamiche alla base dell’appropriazione e dell’adattamento il punto di partenza della ricerca di Nicolo Degiorgis, che per anni ha documentato i luoghi di culto islamici che si sono moltiplicati nelle regioni del nordest. La mancanza di edifici adibiti a moschee spinge i musulmani a riunirsi in luoghi diversi e a inserirsi in spazi altrimenti vacanti — siano essi palestre, negozi o garage — trovando una propria collocazione nell’ambito dell’annullamento architettonico che caratterizza le periferie italiane. Le immagini di Degiorgis, raccolte in un ampio progetto editoriale, dicono di uno spaesamento, di un senso concreto del fuori luogo, che spesso e il tratto più preciso di queste storie.
Ritratti dalla collezione Trevisan
A cura di Mario Trevisan
La mostra dedicata alla collezione di Mario Trevisan rappresenta la prima forma di collaborazione ufficiale istituita tra FOTOGRAFIA-Festival Internazionale di Roma e una raccolta privata, a sancire il riconoscimento del ruolo fondamentale ricoperto da questo tipo di collezionismo nella costruzione di una storia della fotografia e di una memoria condivisa del
media. Sviluppata nel segno di una passione sostenuta da una conoscenza approfondita dell’oggetto, la collezione si presenta come un corpus enciclopedico in continuo accrescimento, che comprende oggi oltre 200 tra gli autori più importanti. Un percorso completo e variegato, che tocca in modo omogeneo le molteplici tappe dell’evoluzione del linguaggio fotografico, dalle sue origini fino ai risvolti più recenti, confermando la lungimiranza delle scelte del collezionista, orientate da una consapevole inclinazione scientifica cosi come dal gusto personale. L’impronta del Surrealismo francese – una delle prime correnti a utilizzare la fotografia in modo autonomo – e delle sue ripercussioni in ambito statunitense, connota fortemente gran parte delle opere della raccolta, spesso caratterizzate dalla ricerca del paradossale, dell’onirico e del fantastico nascosti nelle pieghe della quotidianità.
La collezione, che si sviluppa ampiamente nelle sperimentazioni ottocentesche, fino ad arrivare
alle ricerche internazionali a cavallo dei Duemila, e presente al Festival con una selezione dedicata al ritratto, genere condiviso storicamente con altre discipline artistiche, ma la cui evoluzione ha conosciuto in ambito fotografico esiti sorprendenti.
ALTRE MOSTRE
Epifanie LAB laboratorio irregolare di Antonio Biasucci
A cura di Antonio Biasucci e Antonello Scotti
Allestimento di Giovanni Francesco Frascino
LAB nasce dall’incontro tra Biasiucci e 8 giovani fotografi. Per circa due anni nel suo studio
napoletano l’artista ha seguito i ragazzi nel loro percorso artistico, guidandoli nella produzione di un progetto di ricerca personale. “LAB è il tentativo di scoprire cosa è importante; aiuta a distinguere il fondamentale dall’effimero, ad acquisire una metodologia che è funzionale a realizzare una fotografia che non mente, una fotografia di se stessi”. Da questa esperienza nasce l’installazione Epifanie; essa si svela nell’intima azione dello sfogliare e dell’osservare dei visitatori intorno al tavolo.
Piedi, scarpe, bagagli MOHAMED KEITA
A cura di Susanna Gulinucci
In collaborazione con Save the Children, CivicoZero
Una panchina. Un sacco. Una casa per un senza casa. Titolo J’abite Termini. E’ questa la prima foto di Mohamed Keita che segna il suo arrivo in Italia, nel 2010, dopo aver lasciato la Costa d’Avorio e attraversato il deserto passando dalla Libia. Un lungo viaggio durato tre anni. A Roma, dorme sul marciapiede di via Marsala. Quando a diciassette anni arriva a CivicoZero, centro diurno a bassa soglia di Save the Children, scopre la fotografia con una macchinetta usa e getta. Mohamed non parla italiano e i suoi scatti diventano un modo di conoscere, di comunicare, di mostrare una realtà.
Sequenze/Essenze RODOLFO FIORENZA
A cura di Gregorio Botta
L’autoritratto preferito di Rodolfo Fiorenza era un’ombra. Un’immagine sfocata, quasi indecifrabile, riflessa in uno specchio. Fantasia di scomparsa: come se l’autore volesse cancellarsi, per diventare un occhio libero da se stesso, vergine, totalmente aperto all’esperienza visiva. Invece: in quell’annullamento c’era tutto lui, e tutta la sua cifra. Quella di un uomo generoso e gentile, di un artista esigente che amava fotografare l’arte e gli artisti colti nel momento più intimo: quello del rapporto con l’opera. Sparendo, ne coglieva l’essenza.
Compagni d’elezione GIOSETTA FIORONI
A cura di Benedetta Carpi De Resmini
Compagni d’elezione di Giosetta Fioroni. I ritratti fotografici di Giosetta Fioroni sono scanditi dal rapporto che l’artista ha con poeti e scrittori, suoi autentici “compagni di elezione”. Sono autori e artisti italiani che hanno segnato il percorso di Fioroni come Ceronetti, Garboli, Parise e in particolare Cerone. Giuliano Briganti vedeva Giosetta Fioroni percorrere proustianamente il
regno della memoria con attitudine sentimentale, tenerezza femminile; un’ attitudine che e certamente connaturata al suo stile pittorico, ma che qui emerge nel bianco e nero delle fotografie
My Vietnam/I ritratti GIANPAOLO ARENA
A cura di Camilla Boemio
La piattaforma My Vietnam è un archivio visivo tematico dedicato ad una serie di approfondimenti sul Vietnam. Al tema del ritratto verranno integrati: testi, interviste, progetti fotografici e documenti provenienti dalle arti visive, dal cinema e dalla letteratura. La mostra si sviluppa in due contesti diversi: il primo con due lavori di Arena presentati al MACRO e la piattaforma consultabile, ed il secondo interamente nel web.
Roma, open city MARCO CIPRIANI
A cura di Marco Delogu
La Roma dei turisti in un gioco che oscilla tra realtà e finzione. E’ quel che emerge dal lavoro di Marco Cipriani: lui, romano, realizza un lavoro identitario sulla sua città, ma ha bisogno degli occhi dei turisti per entrare nel centro di Roma e rivederlo con una luce forte, estiva, piena. Non vuole romani, vuole stranieri, figure per il suo gioco “invaders”. E allora ecco gli open bus che girano come modelli su un plastico, mentre a terra sfilano donne e uomini sempre diversi. Sembra un grande gioco, ma è vita, e continua, così come continuerà il lavoro di Marco in altre estati, appena il sole riaccenderà il gioco.
Normandy DAVID SCHIVO
A cura di Giulia Pesole
David Schivo lavora per accumulazioni. A Omaha beach ha fotografato decine di soldati dello sbarco in Normandia, avvenuto il 6 giugno 1944. Di tutti quegli uomini ha scelto due volti grandi sovradimensionati; ci guardano dritti, loro hanno visto, noi dobbiamo ricordare. La nostra libertà è passata per il loro gesto. L’accumulazione era quella delle migliaia di soldati, ora David ha scelto la sottrazione. Martin è un uomo che non ostenta le medaglie ma il suo sguardo, dopo settant’anni, e storia.
Tribute to 163rd Signal Photo Co. MAURIZIO VALDARNINI
A cura di Manuela Fugenzi
E’ un autoritratto inaspettato, in cui passioni personali, memorie familiari e storia trasformano
Maurizio Valdarnini in un soldato-fotografo della 163rd Photographic Company. L’incontro casuale con le fotografie di guerra di Walter Rosenblum, tra i più decorati fotografi dell’esercito americano, ha generato, in modo creativo e imprevisto all’autore stesso, una sorta di gioco suggestivo e consapevole sulla potenza della fotografia storica e sui suoi possibili usi narrativi.
PREMI
CALL FOR ENTRY — VINCITORE
Hakuro, an Itoshima Almanac, NIGEL BENNET
La giuria internazionale composta da Marco Delogu (fotografo e direttore artistico di FOTOGRAFIA), Bartolomeo Pietromarchi (curatore del Padiglione Italia a Venezia 203), Federica Angelucci (direttrice della galleria Michael Stevenson di Cape Town) e Thomas Roma
(fotografo e direttore della facoltà di fotografia della Columbia University School) ha selezionato 10 fotografi finalisti tra cui il vincitore dell’edizione 2014: Nigel Bennet.
Hakuro, an Itoshima Almanac, il progetto di Nigel Bennet, si basa sulla comprensione della realtà e anche sulle modifiche che i filtri umani apportano ad esso. Lo sforzo per controllare le forze insondabili della natura attraverso la cronologia, la meteorologia e l’astronomia è un tentare di codificare e rendere comprensibile il vuoto crudelmente irrazionale dell’esperienza umana. Come forma e contenuto, Hakuro è anche originata da narrazioni provenienti dagli stessi abitanti e anche questo e parte di una storia vera. Naturalmente, non è “la verita”, ma non è nemmeno pura finzione o inganno e Hakuro può in qualche modo essere un autentico valore nel promuovere la nostra comprensione del mondo in cui viviamo.
CALL FOR ENTRY — FINALISTI
Ahoichipha, Carlotta Cardana
The mecca of Coney Island, Fabrizio Albertini
Il Dono e la Minaccia, Federico Covre
Post-ritatti, Filippo Patrese
Una mattina, Francesca Gardini
Farei di tutto per averti qui, Gabriele Rossi
Love Radio, Anoek Steketee
Sex workers, Lorenzo Macotta
Ritratti, Simone Mizzoti
Il tema del ritratto è stato sviluppato con diverse sensibilità e metodologie dai finalisti selezionati dalla giuria del concorso. Il ruolo dell’identita tradizionale nella vita quotidiana degli indiani d’America è stato analizzato da Carlotta Cardana attraverso il suo progetto Ahoicipha. Il lavoro di Fabrizio Albertini The Mecca of Coney Island è un foto documentario sull’handball, è la ricerca di un fotografo sullo sport, inteso come azione in relazione a uno spazio definito. Il dono e la minaccia di Federico Covre è lo studio sull’ambivalenza dei sentimenti che il fotografo prova nei confronti dello straniero. Filippo Patrese con Post-ritatti ci mostra, attraverso la fotografia del negativo fotografico, la centenaria necessità dell’essere umano di apparire migliore di quello che è. Francesca Gardini con Una mattina fa un ritratto della scuola di oggi attraverso i giovani studenti pendolari. Una ricerca sulla realtà giovanile che risulta sempre più multiculturale e multietnica. Farei di tutto per averti qui di Gabriele Rossi è uno sguardo infiltrato in una comunità di indiani in Italia. Love radio di Anoek Steketee è un documentario multimediale riguardo al difficile processo di riconciliazione dopo il genocidio in Rwanda. Sex workers, il progetto di Lorenzo Macotta, mira a costruire un’immagine non stigmatizzata delle figure professionali che oggi rientrano nella definizione “sex workers”. Ritratti di Simone Mizzotti e un progetto nato dall’esigenza di conoscere persone di una cultura fondamentalmente diversa utilizzando la macchina fotografia come canale per un dialogo umano.
III PREMIO GRAZIADEI STUDIO LEGALE PER FOTOGRAFIA – VINCITORE
The Two Half, PIETRO PAOLINI
La giuria internazionale, composta da Marco Delogu (fotografo e direttore artistico di FOTOGRAFIA), Francesco Graziadei (avvocato, partner di Graziadei Studio Legale), Tod Papageorge (fotografo e direttore del dipartimento di fotografia della Yale University) e Jon Rafman (artista e filmaker), dopo aver visionato le numerose proposte arrivate, ha selezionato Pietro Paolini come vincitore della terza edizione del Premio Graziadei Studio Legale per FOTOGRAFIA.
Il progetto di Pietro Paolini, The Two Half, verrà esposto al MACRO-Museo d’Arte Contemporanea di Roma durante la tredicesima edizione di FOTOGRAFIA. Il vincitore otterrà inoltre una borsa di 5.000 euro per la realizzazione e produzione di un nuovo progetto fotografico, senza vincolo di tema, che sarà esposto durante la successiva edizione.
La serie The Two Half è stata realizzata in Venezuela. Paolini ha voluto esplorare la quotidianità del paese in un momento estremamente delicato per il futuro democratico della società venezuelana. Dalla morte del presidente Hugo Chavez il Venezuela sta infatti vivendo un momento di passaggio, la fine di un’ esperienza politica profonda e radicale che ha segnato in modo indelebile la storia del paese nei suoi aspetti positivi e in quelli negativi. L’incertezza, la precarietà di un’identità in pieno divenire che potrà svilupparsi solo con il superamento della forte divisione nel popolo venezuelano.
PREMIO IILA – FOTOGRAFIA 2014 – VINCITORE
A cura di Sylvia Irrazábal, Segretario Culturale IILA – Istituto Italo–Latino Americano
Il Premio IILa-FOTOGRAFIA è cresciuto e si è consolidato negli ultimi anni, affermandosi grazie alla collaborazione tra l’IILa e FOTOGRAFIA-Festival Internazionale di Roma, con il sostegno di VISIVA e Officine International. La VII edizione viene presentata al MACRO-Museo d’Arte Contemporanea Roma con una mostra dedicata a fotografi emergenti latinoamericani. I circa 500 lavori, provenienti dai 20 Paesi membri dell’IILa (Argentina, Stato Plurinazionale di Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay, Repubblica Bolivariana del Venezuela) esprimono le molte identità culturali dell’America Latina. I fotografi selezionati dalla Giuria del Premio IILa-FOTOGRAFIA 2014 hanno declinato Il Ritratto, tema di questa edizione, servendosi di vari linguaggi e tecniche fotografiche. Gli scatti vincitori sono quelli di ¿Están ahí? di Rodrigo Illescas (Argentina): ritratti colti nell’intimità, rubati attraverso le finestre. Come da regolamento del Premio, Illescas trascorrerà una residenza d’artista a Roma per realizzare un lavoro da esporre al Festival nel 2015. David Alarcón Kritzler (Cile), Menzione d’Onore, ambienta La Cima Inferior nell’ascensore della metropolitana, optando per la street photography; Javier Vanegas Torres (Colombia) presenta Ampo, onirici ritratti di albini; con Mujeres de Barro, Silvia Navarro (Perù) propone ritratti non convenzionali di rugbiste; Melba Arellano (Messico) ripercorre strade dell’infanzia con Carretera Nacional.
A fianco di queste opere, il boliviano José Arispe, vincitore nel 2013, espone gli scatti romani colti durante la sua residenza d’artista.
PREMIO IILA – FOTOGRAFIA 2013 – VINCITORE
Sola, JOSÉ ARISPE
A cura di Marco Delogu
A chi arriva con l’intento di ritrarla, Roma provoca ormai una sensazione di spaesamento. La
monumentalità non riesce più a essere interpretata, è troppo carica, troppo forte, difficile starci davanti a occhi e mente aperta. Si sente il bisogno di scappare, chiudere gli occhi, sdraiarsi per terra e riaprirli guardando il cielo. Si tenta un’altra via, si prova a cercare tracce del mondo contemporaneo, ma ci rispondono spazi estranei, senza grande identità, spesso sconfitti dal confronto con l’antico. Quegli spazi non hanno occhi e non possono sdraiarsi per terra e guardare il cielo. Comincia così una sensazione di spaesamento. La vista si riempie di immagini difficilmente catalogabili, non c’è ordine in queste memorie. Jose Arispe disegna una sua geografia personale, si abbandona alla città, agli interni e agli esterni, prende particolari e visioni più larghe. Si ferma ad aspettare piccole risposte, molto personali. Una piccola mappa si compone giorno dopo giorno, nelle ore di sole, al crepuscolo e infine raggiunge la notte. Al termine di questo percorso emerge un’altra città ancora, un altro tassello di visioni d’artista che noi non vedremo mai, inutile cercarle, rincorrerle, la mappa non ha coordinate. Per fortuna esistono le fotografie di Jose Arispe.
COMMISSIONE ROMA 2014
Marco Delogu, Luce Attesa
A cura di Bartolomeo Pietromarchi
In collaborazione con la Galleria Il Segno, Roma
Roma o della polarità inversa
Al dodicesimo anno della Commissione Roma, Marco Delogu, che l’ha inventata, iniziata e curata per dodici edizioni come parte integrante del Festival della Fotografia di Roma, ha pensato che fosse giunto il momento di mettersi in gioco direttamente e di provare, questa volta, a raccontare Roma, la sua città, con lo sguardo di una persona che l’ha vissuta e la vive, dopo averla fatta raccontare ai piu grandi fotografi nazionali e internazionali, con uno sguardo ‘dal di fuori’, di chi questa città non l’aveva mai vissuta. E’ stato cosi interessante e stimolante
scoprire come Josef Koudelka, Olivo Barbieri, Anders Petersen, Martin Parr, Graciela Iturbide, Guy Tillim, Alec Soth, Tim Davis e altri, vedessero questa città cogliendone ogni volta un aspetto diverso, dettagli sorprendenti e inaspettati, ribaltamenti di clichè, visioni dall’alto del cielo e dal basso di un marciapiede, ma sempre e comunque “sguardi estranei”.
Nella serie delle lune e dei soli neri che Delogu presenta come Commissione Roma di quest’anno, si percepisce al contrario uno sguardo di qualcuno che questa città la conosce “dal di dentro”, nella sua natura piu intima, nella sua bellezza e nella sua inerzia. Una ricerca che parte dalle contraddizioni di una grande città e dalla sua “polarità inversa”. Attraverso la particolare luce di Roma e l’inversione dei suoi valori, Delogu ne racconta la sua dimensione fuori dal tempo e al di la dello spazio. Un’inversione che mostra l’eccesso di luce che ha reso queste fotografie diurne “cieche”, dove ogni cosa è stata inghiottita dal bianco, come fosse il buio della notte, dove sono rimaste solo insegne appese nel vuoto che dicono più che far vedere. Nei paesaggi illuminati solo dalla luce flebile della luna, le fotografie notturne, le cose appaiono al limite della loro presenza fisica, sfiorate dalla luce tenue e incerta della luna, come sul punto di scomparire.
In entrambi i casi siamo di fronte ad “apparizioni” più che a immagini. Come nei contorni sfumati del sogno, tutto qui perde di fisicità, inondato di luce o appena percepibile nella penombra di un’immagine lievemente mossa. Una dimensione onirica che rende tutto irreale, sospeso nel tempo e nello spazio. Proprio attraverso queste apparizioni, Delogu racconta la città: le insegne e i frammenti urbani appaiono sospesi e improvvisi. Ogni elemento riaffiora da una memoria lontana fatta di cinodromi, cinema ormai in disuso, mitici luoghi ai bordi del fiume, tutti carichi di storie. Immagini sfumate, come qualcosa di cui si sta perdendo il ricordo. E’ cosi che appaiono queste ambientazioni notturne illuminate dalla luna.
Nel silenzio della notte di luna piena tutto appare irreale, diventa la scena di un teatro della notte in attesa dei suoi personaggi, in attesa che qualcosa accada. Nel silenzio degli acquedotti dell’Agro Romano cosi come nei parchi delle ville storiche o sul colle del Palatino, vagano i fantasmi di personaggi che non si sa più se sono reali o solo narrati, se sono storici o solo immaginati. Ecco la Roma di Marco Delogu dove “la notte s’è fatta giorno e il giorno è divenuto notte”. La polarità inversa di una luce e di un luogo che inverte tempo e spazio e dove la luce e il mito, la storia e la natura, inghiottono il reale e lo trasformano in una grande apparizione.
CIRCUITO
GAGOSIAN GALLERY
23 settembre – 8 novembre 14
SCRATCHING THE SURFACE: Photographs by Dennis Hopper
A cura della Gagosian Gallery in collaborazione con The Hopper Art Trust
La prima grande mostra dedicata a Roma a Dennis Hopper, noto come regista ed attore del film “cult” Easy Rider (1969), e attore in altri “colossal” quali L’amico americano (1977), Apocalypse Now (1979), Velluto Blu (1986), Colpo Vincente (1986).Sono esposte fotografie degli anni ’60 e scatti dei primi anni ’70, appartenenti alla serie Drugstore Camera. É durante l’ascesa verso la popolarità hollywoodiana che Hopper comincia attraverso la fotografia a cogliere lo spirito ribelle degli anni ‘60 grazie a scatti ormai iconici che spaziano da Los Angeles a Harlem, a Tijuana in Messico, ai grandi personaggi dell’epoca tra cui Jane Fonda, Andy Warhol e John Wayne. In mostra anche un centinaio di “vintage prints” firmate degli anni ‘60, tra cui i ritratti di artisti, attori e musicisti ormai leggendari e ripresi da Hopper con grande immediatezza (tra le tante, Claes Oldenburg appare ad una festa nuziale circondato da fette di torta impiattate, realizzate in gesso dall’artista per gli invitati o Andy Warhol, con indosso scuri occhiali da sole e una cravatta sottile, sorride birichino nascondendosi dietro a un piccolo fiore). Le fotografie appartenenti alla serie Drugstore Camera sono state scattate a Taos, New Mexico. Realizzate con semplici macchine fotografiche e sviluppate nei laboratori estemporanei tipici dei “drugstore” americani, gli scatti raccontano gli amici e i familiari di Hopper ambientati tra le rovine e i paesaggi del deserto sconfinato; i nudi femminili in interni indefiniti; i viaggi “on the road” verso il natio Kansas; e le nature morte improvvisate con oggetti abbandonati. Queste fotografie e le tante altre di festival culturali, personaggi leggendari e momenti intimi e quotidiani che catturarono l’attenzione di Hopper, restituiscono un’immagine fortemente affascinante degli anni ‘60 e ‘70 ritraendo l’idealismo politico e l’ottimismo tipici della California dell’epoca.
24 settembre – 7 novembre 2014
ACCADEMIA TEDESCA – VILLA MASSIMO
Photography I, AUGUST SANDER, HELMAR LERSKI
A cura di Ute Eskildsen
Questa sarà la prima di una serie di mostre ospitate da Villa Massimo che illustreranno l’evoluzione della fotografia tedesca dagli anni venti ai giorni nostri, confrontando le opere di due fotografi dell’epoca e mettendole in prospettiva.
Negli anni venti, August Sander e Helmar Lerski svilupparono un interesse diverso verso il mezzo fotografico attraverso metodologie di lavoro coerenti e autonome. Nel 1929, a Monaco, Sander pubblicò il volume di ritratti Antlitz der Zeit. Sechzig Aufnahmen deutscher Menschen des 20. Jahrhunderts, e nel 1931, a Berlino, Lerski pubblicò Köpfe des Alltags. Unbekannte Menschen, 80 Lichtbilder. Sander lavorò tutta la vita al suo ambizioso progetto, dividendo i soggetti per mestiere e classe sociale, fotografandoli nei loro ambienti quotidiani, spesso con la luce naturale e a figura intera. La caratterizzazione sociale di Sander è un contributo straordinario alla fotografia dei primi Novecento e rappresenta ancora un corpus di opere che ha lasciato un segno importante e decisivo. Lerski lavorava sulla rappresentazione dei tratti espressivi dei soggetti mediante l’uso della fotografia e della luce. Le sue immagini raffigurano teste e volti isolati e strettamente inquadrati, spesso molto illuminati e contrastati. A Lerski non interessavano i tratti estetici dei suoi soggetti, bensì la loro espressività e struttura interna. L’opera di Sander è stato esposta e apprezzata negli anni in tutto il mondo, le metamorfosi di Lerski invece sono state perlopiù viste e apprezzate dagli addetti ai lavori. Questa mostra dialogica si prefigge di colmare questo vuoto.
MUSEO DELLE ARTI E TRADIZIONI POPOLARI (MiBACT)
25 settembre – 11 novembre 2014
25.8.1964. C’era Togliatti, MARIO CARNICELLI
A cura di Baerbel Reinhard e Marco Signorini
Le fotografie di Mario Carnicelli sono testimonianza di uno sguardo protettore, custode vigile della portata di un evento, come il pittore Renato Guttuso di guardia al feretro di Togliatti, in una delle immagini più intense di questo libro. Un vedere nel tempo che va oltre l’esperienza vissuta dai presenti, rendendola una storia italiana da leggere anche a posteriori. Si intuisce da
subito che la fotografia, nella sua forma originaria di documento, ancor prima che diventare arte, avvalora le nostre vite perché sfiora il reale, e dà significato alla nostra esistenza”.
ACCADEMIA DI FRANCIA A ROMA – VILLA MEDICI
26– 28 settembre 2014
Pene condivise, ASSAF SHOSHAN
A cura di Eric de Chassey
Da una decina d’anni Assaf Shoshan lavora principalmente in Israele, dove è nato nel 1973. Le
sue fotografie e i suoi video trattano di territori contesi e popoli sfollati, in particolare attraverso delle serie sui migranti dell’Africa subsahariana o su quei luoghi il cui statuto è mal definito per via della storia politica recente. Shoshan chiama questi luoghi “territori dell’attesa”. Borsista a Villa Medici da settembre 2013 ad agosto 2014, a Roma ha condotto un lavoro su delle coppie di cui almeno uno dei membri sconta una lunga pena nel carcere di Rebibbia. Ha fotografato i luoghi della loro detenzione, il carcere maschile e quello femminile, di cui la mostra presenta due plastici realizzati da un altro borsista dell’Accademia di Francia a Roma, l’architetto Simon de Dreuille. Assaf Shoshan ha anche fotografato e filmato separatamente i membri di queste coppie: ciascuno si presenta (più che venire colto) a mezzo
busto su uno sfondo specifico, in uno scambio muto con l’artista che diventa uno scambio muto con lo spettatore – uno scambio a sua volta “trasferito” poiché il suo oggetto resta innanzitutto l’altro, impossibilitato a prendere parte fisicamente a questo scambio. A una tradizione del ritratto che vorrebbe cogliere ciò che si suppone il modello nasconda, Assaf Shoshan sostituisce qui una maniera di “fare ritratto” che accetta subito che l’involucro fisico lasci percepire soltanto un’attesa e un’assenza, un orientamento verso un altro che non è presente e che nulla viene a sostituire, se non l’intensità dell’attesa. Una pena che non può essere condivisa da chi non la subisce, ma di cui queste immagini trasmettono la forza particolare che dà ai corpi che la provano.
SANTA MARIA DELLA PIETÀ (padiglione 28)
28 settembre – 31 ottobre 2014
Passato prossimo, FRANCESCA POMPEI E GIANLUCA DE SIMONE
A cura di Angelo Tanese
L’ospedale S. Maria ha chiuso, ma continua, in forme diverse, ad attraversare la storia della città. Pompei ha lavorato su quanto siano presenti i volti e le storie delle persone che hanno attraversato quel “condominio” di padiglioni. Tra luci e vetri rotti Pompei riesce a ritrarre ciò che non si vede, l’alito avvolgente delle memorie degli uomini. Sono foto del presente che scovano i fantasmi sepolti tra i resti dell’ospedale. La prova che le emozioni lasciano un segno nei luoghi che attraversano.
PICCOLO CINEMA AMERICA
30 settembre 14 – 30 ottobre 14
Francesco Francaviglia, Daniele Molajoli
A cura di Marco Delogu
Le fotografie interagiscono con i luoghi, i ritratti cercano nuovi sguardi, nuova vita. Storie che appartengono a tutti e che hanno bisogno di espandere i propri confini: e così nei ritratti di Francesco Francaviglia, i poeti che han lottato con le parole ora lottano con il buio, mentre il medico di Daniele Molajoli si batte per un diritto primario. Noi con le nostre fotografie combattiamo una battaglia per un’ecologia dello sguardo.
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
30 settembre 2014 – 2 novembre 2014
Il mio Pianeta dallo Spazio: Fragilità e Bellezza
A cura di Viviana Panaccia
Prodotta da ESA – Agenzia Spaziale Europea
Immagini da satellite e video installazioni dei luoghi più belli e remoti della Terra. Fotografie che ci rendono coscienti della fragilità del nostro pianeta in perenne cambiamento: ghiacciai che si sciolgono, oceani che si innalzano, foreste pluviali minacciate, inaridimento delle terre coltivate e l’incontrollato sviluppo delle megalopoli.
Così si presenta la Terra nelle fotografie scattate da Luca Parmitano, Astronauta dell’ESA, durante la missione dell’Agenzia Spaziale Italiana “Volare” a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
ISTITUTO NAZIONALE PER LA GRAFICA (MiBACT)
IN COLLABORAZIONE CON SALA 1 – CENTRO D’ARTE CONTEMPORANEA
01 – 26 ottobre 2014
L’image Culte, CHANTAL STOMAN
A cura di Isabella Vitale
Con il contributo di Nuovi Mecenati e dell’Istitut Français en Italie
Con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia
“A Roma ho scelto di osservare una religione che non è la mia. Sono partita osservando le testimonianze visibili della fede, alla ricerca della presenza visibile dell’invisibile”.
Questo il proposito della ricerca fotografica di Chantal Stoman, artista francese che a Roma ha avviato il suo progetto, L’Image Culte, un’analisi sulle tracce evidenti della fede cattolica. Impressionata dal proliferare d’immagini religiose presenti ovunque nella città, l’artista ha rilevato e messo a fuoco quest’opulenza iconografica attraverso una serie di fotografie che ne
catturano pienamente quell’aspetto di pervasività, ormai “invisibile” agli occhi abituati e assuefatti dei cittadini – e fedeli – romani. Contrariamente a quanto accade in una religione iconoclasta (“Il visibile non è altro che il riflesso dell’invisibile”, recita il Talmud), L’Image Culte indaga la centralità e la necessità della figurazione nel culto cattolico, in particolare a Roma, dove l’arte da secoli è stata alimentata dalla fede al punto da sovrapporsi ad essa e trasformarsi, nella pratica religiosa popolare, in una sorta di “iconolatria”. L’artista, estranea a queste pratiche religiose, è sollecitata dalla persistenza delle immagini devozionali e del loro rapporto con Roma nella ricerca di una risposta alle proprie domande, in stretto rapporto con se stessa e con gli altri, scavando fino in fondo nell’aspetto visibile e invisibile della fede, alla ricerca della sua rivelazione. Con il suo progetto, Stoman opera un’analisi interiore di una specifica condizione, tracciando una sorta d’iconografia personale e contemporanea di Roma e di chi la abita.
DOOZO – Art Book & Sushi
9 ottobre – 22 dicembre 2014
New Self, New to Self MITSUKO NAGONE
A cura di Manuela De Leonardis
Coordinamento di Masako Tominaga. Testo Manuela De Leonardis
New Self, New to Self, che giunge per la prima volta in Italia dopo l’anteprima europea a Fotofever,presso il Carrousel du Louvre a Parigi nel novembre 2013, è la serie di autoritratti che Mitsuko Nagone ha iniziato nel 2009. Con raffinata ironia e humor sottile l’autrice indaga sul concetto di identità. Identità al plurale che la vedono alle prese con situazioni sempre diverse, circondata da oggetti della quotidianità – cibo, utensili da cucina, elettrodomestici – di cui viene ribaltato il significato. Ritrarre se stessa per lei significa prendere le distanze dalla propria fisionomia. L’autoritratto le permette di inventare e creare nuovi personaggi. “Che sia un’immagine di me o di un’altra persona che sento simile a me, funziona ugualmente come autoritratto.” – afferma la fotografa – “Qualche volta può capitare che fotografando posso capire qualcosa di me stessa, soprattutto in questo progetto. Ma è veramente difficile trovare risposte. Le domande sono immense e mi servirebbe la vita intera per capire qualcosa di me. L’idea principale intorno a cui ruota New Self, New to Self – piuttosto – è provare a cercare di non pormi domande che mi riguardino, perché è troppo complicato. Voglio semplicemente mettere a fuoco il lato divertente, che è molto vicino all’idea di come mi piacerebbe essere. Ma sono ancora alla ricerca!”
OFFICINE FOTOGRAFICHE
10 – 31 ottobre 2014
Emerging European Talents, ADAM PAŃCZUK, ALEX CRETEY SYSTERMANS, CARLOTTA CARDANA, MARIUS SCHULTZ
A cura di Arianna Catania e Sarah Carlet
La fuga dell’individuo dalla collettività e dalla storia, alla ricerca del proprio mondo, unico e protetto. È questo il filo che lega i diversi approcci documentari dei fotografi che, in quattro diversi angoli d’Europa, hanno scelto il ritratto per raccontare il volto più segreto e sconosciuto del continente. Ognuno con lo sguardo profondo di chi conosce e ama la propria terra.
È così che il polacco Adam Panvczuk ci porta in un villaggio nell’est del suo paese, per presentarne gli abitanti fortemente attaccati alla terra, metafora della vita. Chiamati Zarczebs, termine che descrive quel che rimane dopo il taglio di un albero. Anche Marius Schultz racconta la sua Norvegia grazie a un micro-mondo e alla sua bellezza rarefatta: quello di due ragazzine dai capelli rossi che tra gli alberi e la natura incontaminata vivono l’età della pubertà, in silenzio. “Un’attrazione tra le cose”, come la definisce il francese Alex Cretey Systermans, che si immerge nella famiglia e nei suoi innumerevoli dettagli per scoprire l’essenza di una realtà autonoma, ricca come un mondo intero.
Come le Modern Couples inglesi di Carlotta Cardana, fotografa di Verbania residente a Londra, che ha documentato chi vive oggi ancorato a un passato che non esiste più. Una passeggiata nel tempo, nei favolosi anni sessanta, che va ben oltre la moda, per riflettere sulla costruzione dell’identità.
ISTITUTO CENTRALE PER IL CATALOGO E LA DOCUMENTAZIONE (MiBACT)
29 novembre – 19 dicembre 2014
Tintype Portraits
A cura di Benedetta Cestelli Guidi e Laura Moro
Fotografie su ferro che sembrano nascere dal caso. Ritratti ripresi in esterno su set improvvisati, eseguiti con rapidità, dal costo abbordabile e quindi di grande popolarità e ampia circolazione. Il ferrotipo, utilizzato tra il 1853 e il 1930, è un positivo fotografico a procedimento diretto su lamiera di metallo emulsionata al collodio. È la prima fotografia istantanea che segna una novità straordinaria nella pratica fotografica ormai consolidata della seconda metà dell’Ottocento perché porta il fotografo fuori dallo studio di posa immettendolo nel flusso della società urbana e rurale. Ritroviamo così gli stessi elementi della fotografia “nobile” di quegli anni: la balaustra, la sedia, lo sfondo dipinto che chiude la prospettiva di immaginifici set. Il bordo della lastra mostra però l’artificio, quando il selciato appare da sotto la pedana o il fondale si increspa e rivela la finzione.
Questi pezzi unici ci affascinano per il loro essere “oggetti” fotografici, dove la materia del supporto assorbe l’immagine connotandola stilisticamente nella sua opacità; la mancanza di contrasti, dovuta ai bassi tempi di esposizione, era il prezzo che si pagava per un’istantanea a buon mercato. Oggi questi ferri ci parlano di una pratica molto diffusa ma per lo più dimenticata; i tintypes emergono raramente dalle collezioni, dai cassetti, dalle bancarelle reali e virtuali, mentre ora sono oggetto di attenzione e di rielaborazione da parte di artisti contemporanei. Una raccolta di ferrotipi ottocenteschi può così trovare posto nell’ambito di FOTOGRAFIA Festival Internazionale di Roma.
FOTOGRAFIA Festival è per la città di Roma una felice tradizione nell’ambito delle iniziative di promozione della cultura contemporanea.
Giunto quest’anno alla tredicesima edizione ha nel tempo confermato di essere un punto di passaggio fondamentale per approfondire i diversi ambiti della fotografia e per scoprire come questa, nelle sue diverse forme ed espressioni, sia profondamente legata all’identità passata e presente della nostra Città.
Il Festival ha saputo lavorare con molta attenzione al rapporto tra storia e contemporaneità facendo di questo un elemento di attrazione in grado di avvicinare un numero sempre più ampio di cittadini e di visitatori italiani e stranieri.
I temi che si sono susseguiti di anno in anno hanno sempre saputo cogliere aspetti originali di questa relazione e la scelta per l’edizione 2014 del Ritratto ne conferma a pieno tale vocazione, rappresentando da una parte un elemento cardine della storia della fotografia ed essendo al contempo oggi alla ribalta come fenomeno di massa legato alla condivisione delle immagini in rete.
In questa capacità di tenere insieme aspetti di ricerca ed elementi di forte divulgazione l’Amministrazione riconosce in FOTOGRAFIA un significativo strumento di indagine culturale.
Il Festival è altresì un’occasione di grande visibilità per le reti di operatori istituzionali e non che operano a diversi livelli sul nostro territorio. Tra queste le Accademie straniere ancora una volta grandi protagoniste della manifestazione, il sistema delle gallerie e dei collezionisti che a diverso titolo vi contribuiscono, così come i tanti operatori indipendenti che arricchiscono il programma con proposte innovative ed originali. Proposte che quest’anno si estendono, dando nuova linfa ad una vocazione che il Festival ha sempre avuto e che l’Amministrazione intende ancora più valorizzare, in un circuito ampio e diffuso sul territorio con momenti significativi in quei poli culturali che sono diventati per la città nuove e vitali centralità, tra questi il Teatro Tor Bella Monaca, il Teatro Biblioteca Quarticciolo e il Teatro Elsa Morante al Laurentino 38.
Tutto ciò senza tralasciare l’importanza di offrire occasioni di visibilità ai talenti emergenti con premi, bandi ed iniziative a loro dedicate che sono in grado sia di promuovere gli artisti locali come di attrarne dall’estero, ribadendo un’ambizione alla internazionalità che questa Città attraverso le sue iniziative mira a consolidare.
In conclusione il fatto che il MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di Roma ospiti stabilmente le mostre principali del Festival di cui è co-produttore conferma l’intenzione della nostra Amministrazione, attraverso le sue istituzioni, di farne un fattore distintivo degli interventi per la Cultura. L’auspicio è quello di proseguire nella costruzione di una proposta culturale in cui la ricchezza del nostro passato si unisca sempre più ad una spinta naturale verso il futuro di cui l’arte contemporanea ed al suo interno la fotografia possono farsi importante veicolo di trasmissione.
GIOVANNA MARINELLI
Assessore alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica di Roma
LA CENTRALITÀ DEL RITRATTO
Nel 1543 Carlo V incaricò Tiziano di ritrarre sua moglie Isabella. La pratica del ritratto è un’esperienza complessa: identità, materia, linguaggi e lentezza. La “centralità dell’artista” è decisiva. Tiziano dipingeva Isabella morta da quattro anni. La fotografia ritrae persone vive e, solo in rari casi, morte.
Il festival della fotografia è la creazione di un enorme ritratto. È generare altre occasioni per vivere: incontri, incroci e sovrapposizioni di molte esperienze, emozioni e vite interiori. Ogni festival, a diversi livelli, è stato questo: una simbolica piazza crocevia di amicizie forti e durature, di sapere, di amori e purtroppo di scomparse (all’indimenticabile Anna Gianesini saranno dedicate le lectures del festival). Il tredicesimo festival è un’enorme quadreria di ritratti nella quale il pubblico interagisce con le fotografie, le pareti rimandano sguardi agli sguardi e il tutto genera nuove immagini. Fotografie “lente” che ogni attimo danno vita a immagini in movimento: questa è la nostra cura per l’accumulazione “malata” di immagini che contraddistingue gli ultimi anni.
Questa grande quadreria parte dal MACRO, e si diffonde in città, nelle accademie di cultura straniere, nei teatri di periferia, gallerie, e altri musei. Ogni luogo, ogni volta, genera interazioni e nuove immagini, vive. La magia di ogni singolo allestimento genera risposte diverse. Dobbiamo proteggere con il vetro gli anarchici non protetti nell’Ottocento, e vogliamo proteggere i loro documenti. E poi Sander e l’inizio del “secolo breve”, la storia del Novecento iniziata in quella Germania dove nacque la follia, sconfitta, del nazismo, ma segno di qualcosa che forse riguardava tutto l’Occidente. E i “cataloghi” visivi di Roger Ballen e Larry Fink, grandi lavori, il primo ossessivo, frutto di anni di relazioni, di estetica e comunità, e l’altro completamente libero testimone di una stagione di grande libertà. Apriamo il festival con una grande collettiva di molti fotografi che richiedono allestimenti e materie diverse, e qui sta la magia: restituire con molti sguardi, formati, superfici, l’essenza della fotografia di ritratto, in un grande gioco dove chi guarda è protagonista e vede se stesso. Un gioco di rimandi e specchi tra il momento in cui la foto è stata realizzata e i molti momenti in cui viene vista esattamente nella forma e nella dimensione in cui è stata pensata.
La fotografia produce vita, ricorda vite, anche quando fotografa morte. Biasiucci ci restituisce la memoria di una comunità di soldati “massacrati” e non sappiamo quante delle persone che incontreremo nelle pareti di tutto il festival non sono più su questa terra. Sappiamo però che come Carlo V e sua moglie Isabella, dipinti da Tiziano lui in vita e lei no, continueremo a vivere guardando questi ritratti e avremo voglia di farne molti altri. Nessuna accumulazione inutile, solo lentezza, appartenenza e profondità.
MARCO DELOGU
Fotografo e direttore artistico di FOTOGRAFIA