Tamara de Lempicka, Ritratto di Madame Perrot, 1931-1932. Olio su |
Tamara de Lempicka20 settembre 2015 – 31
gennaio 2016
AMO – Palazzo Forti, Verona
Apre a Verona la grande mostra monografica dedicata a Tamara de Lempicka, una
delle artiste del Novecento più amate e seguite dal grande pubblico.Ospitata nelle bellissime sale del Piano Nobile di Palazzo Forti, sede
di AMO, la mostra racconta l’eccezionale avventura artistica di Tamara
attraverso 200 opere tra olii, disegni, fotografie, acquerelli, video e
abiti, tra cui capolavori come Ritratto di Madame Perrot (1931-1932),
La sciarpa blu (1930), La bella Rafaëla (1927) e
prestiti eccezionali provenienti dal Museo Salvatore Ferragamo di Firenze,
dalla Fondazione Biagiotti Cigna e dal Museo della Moda e del Costume di Villa
Mazzocchelli.
Durante il percorso sono analizzati i rapporti tra la sua arte e i linguaggi
della fotografia e della moda – a cui è dedicata un’intera sezione – ed è
raccontata la sua capacità di rappresentare la vita moderna attraverso dipinti
che sono diventati icone; è infine evidenziato l’aspetto di una donna-artista
che impone una figura femminile nuova, emancipata, disinibita e libera, del
tutto rivoluzionaria per il suo tempo. In mostra anche i notissimi quadri
“scandalosi” raffiguranti le amanti di Tamara, e i nudi pieni di sensualità per
cui è conosciuta in tutto il mondo.
Anche l’opera di Tamara è letta attraverso la musica che seduce il visitatore
echeggiando nelle sale della mostra. Infatti in ogni stanza suonano brani dei
tempi e dei luoghi di Tamara, dalle canzoni che amò alle composizioni
d’avanguardia degli anni Venti, nate in quella Parigi che fu il palcoscenico
del successo della Lempicka.
Tamara de Lempicka inaugura ad AMO Arena Museo Opera una nuova “linea
espositiva” dal titolo “Seduzione in Musica”: la realizzazione di mostre che
avranno come file rouge l’approfondimento musicale del tema trattato in
mostra arricchendo così l’esperienza del visitatore e sottolineando il legame
tra arte e musica.
Con il sostegno della Soprintendenza belle arti e paesaggio per le province
di Verona, Rovigo e Vicenza e con il patrocinio del Comune di Verona,
la mostra Tamara de Lempicka, curata da Gioia Mori, è promossa
dalla Fondazione Arena di Verona, ed è prodotta e organizzata da Arthemisia
Group e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore.
La mostra vede come sponsor Generali Italia, come sponsor tecnico Veronabooking
– Cooperativa albergatori veronesi, Trenitalia e Canale Arte,
in collaborazione con L’Arena e il sostegno di La Rinascente, e
il supporto di Il Sole 24 ORE, Domenica 24 ORE e Radio 24.
L’evento è consigliato da Sky Arte HD.
Il catalogo è edito da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE.
LA MOSTRA
Il percorso si apre con I mondi di Tamara de Lempicka: un’esplorazione
attraverso tutte le case in cui ha vissuto tra il 1916 e il 1980, tra l’anno
del suo matrimonio a San Pietroburgo e l’anno della morte a Cuernavaca. I
luoghi sono messi in relazione con la sua evoluzione artistica: dagli
acquerelli del periodo russo, alla ritrattistica degli anni Venti realizzata
nei suoi ateliers parigini, alle opere dipinte a Beverly Hills nella grande
villa in stile coloniale di King Vidor progettata dall’architetto Wallace Neff,
a quelle degli anni Quaranta che rispecchiano gli arredamenti e il gusto della
casa di New York. Questo sguardo nell’intimità delle sue stanze esplora anche i
mondi culturali di riferimento, facendo emergere inediti rapporti, come quello
tra il dipinto Strada nella notte e le foto di Kertész, che restituisce la
medesima stupefazione di questi rifugiati dall’Europa dell’Est nella città
“delle luci”, per tutti loro luogo di elezione.
La seconda sezione, Madame la Baroness, Modern medievalist, prende il
titolo da un articolo dei primi anni Quaranta uscito negli Stati Uniti, dove si
esaltava il suo virtuosismo tecnico espresso soprattutto nelle nature morte,
primo genere in cui l’artista si cimenta fin dall’età adolescenziale e che
raggiunge livelli eccelsi negli anni Quaranta. Tra le opere esposte, La
conchiglia uno straordinario trompe-l’oeil del 1941, e alcuni dipinti dedicati
alle Mani, in cui la Lempicka riprende un soggetto al quale alcuni fotografi –
Kertész, Kollar, Dora Maar – avevano dedicato particolare attenzione negli anni
Venti-Trenta, qui messi a confronto con i quadri.
La sezione The Artist’s Daughter (titolo di un articolo americano del
1929), presenta quei dipinti dedicati alla figlia Kizette che le portarono i
maggiori riconoscimenti: tra le opere esposte, Kizette al balcone, premiato nel
1927, e La comunicanda, premiato nel 1929, prestiti del Pompidou e del museo di
Roubaix.
Donna dalla natura ambivalente, a una condotta trasgressiva coincide
un’insospettabile attenzione per la pittura “devozionale”: Madonne e santi,
sono i dipinti riuniti nella sezione intitolata Sacre visioni: dalla
Vergine col Bambino del 1931, del Musée des Beaux-Arts di Beauvais, alla
Vergine blu del 1934 di prestigiosa collezione privata, al quadro preferito
dalla Lempicka, La madre superiora del Musée des Beaux-Arts di Nantes.
Lo spazio dedicato a Le “visioni amorose” racconta attraverso
eccezionali nudi la delicata attenzione riservata a uomini e donne da lei
amati: in mostra, l’unico Nudo maschile da lei dipinto, e poi tutte le donne
desiderate, con capolavori come La sottoveste rosa, La bella Rafaëla, Nudo con
edifici. Qui è esposta anche la principale fonte pittorica dei suoi nudi: il
dipinto Venere e Amore di Pontormo, in una versione cinquecentesca di
manierista fiorentino. Dalla ripresa dell’antico la Lempicka approda allo
studio della moderna fotografia di nudo: gli scatti di Laure Albin Guillot
rendono evidente la sua ricerca sulle pose e sull’illuminazione da studio
fotografico.
Nella sezione Scandalosa Tamara si affronta il tema della Coppia: da
quella eterosessuale ripresa dal Bacio di Hayez, alle coppie saffiche messe in
relazione con alcuni documenti fotografici di Brassaï e Harlingue sui locali
per sole donne dell’epoca.
La sezione Dandy déco ospita per la prima volta tutti insieme i dipinti
della Lempicka in cui appare evidente il suo rapporto con la moda del tempo.
Provenienti da collezioni europee e americane e da musei francesi, nelle due
sale dedicate a questo tema è possibile ammirare un disegno del 1920-1921,
epoca in cui faceva l’illustratrice di moda; Saint-Moritz (1929) del Musée des
Beaux-Arts di Orléans, in cui la modella indossa una creazione di Jean Patou;
La sciarpa blu (1930), con l’immagine di una donna sportiva che indossa il
basco di feltro, accessorio imposto dalle attrici preferite della Lempicka,
Greta Garbo e Marlene Dietrich; Ragazza in verde (1930-1931) del Centre
Pompidou, con un modello ripreso da Madeleine Vionnet; Ritratto di Madame
Perrot (1931-1932), con un abito della Maison Blanche Lebouvier; Ragazza con piedistallo
(1931-1932), con un abito Marcel Rochas; Signora elegante con cappello fiorito
(1938-1940), con un’acconciatura ripresa da Arletty, fino ai dipinti degli anni
Quaranta con cappelli fioriti e turbanti, e al dipinto del 1952 Donna con
cappello del Musée d’Art moderne di St. Etienne Metropole, che indossa una
creazione della stessa Lempicka.
TAMARA DE LEMPICKA E LA MODA
La sezione Dandy déco approfondisce il rapporto di Tamara con la moda
illustrando anche le fonti di tutti i modelli di abiti e acconciature che sono
stati individuati nel corso degli anni dalla curatrice Gioia Mori che per
l’occasione ha voluto realizzare una “mostra nella mostra”: a Verona, infatti,
il pubblico parteciperà a un’inedita sfilata di abiti calzature e accessori dei
decenni Venti e Trenta, scelti rispecchiando i gusti della Lempicka come
narrati dalle fonti.
La sezione della moda presenta anche le foto realizzate per un’attività
parallela svolta dall’artista fin dagli anni Trenta: ovvero quella
d’indossatrice, immortalata dai massimi fotografi di moda, quali Madame d’Ora e
Joffé a Maywald.
I prestiti provengono da diverse fondazioni e istituzioni italiane: il Museo
Studio del Tessuto della Fondazione Antonio Ratti di Como, che ha concesso
diversi capi, tra cui un prezioso abito interamente ricamato con canutiglie; il
Museo della Moda di Ciliverghe, che tra i diversi materiali prestati ha
concesso un abito bianco dei primi anni Trenta che rispecchia il complesso
disegno dell’abito indossato nel dipinto della Lempicka Ritratto di Madame
Perrot, e l’abito da sera che la cantante lirica Lina Cavalieri indossò nella
serata di gala dell’aprile 1920 al Politeama di Lecce, quando dette il suo
definitivo addio alle scene cantando La Traviata di Giuseppe Verdi.
Sono poi esposte alcune ricerche d’avanguardia di quei decenni. La Fondazione
Biagiotti Cigna ha prestato l’abito futurista disegnato da Giacomo Balla
intorno al 1930 per la figlia Luce: una ricerca, quella di Balla, che
sicuramente la Lempicka conosceva, vista la frequentazione con molte
personalità del gruppo, tra cui Francesco Monarchi – uno degli autori nel 1933
del Manifesto futurista del cappello italiano -, che con Prampolini la
intervistò a Parigi nel 1929, una testimonianza uscita quell’anno sul “Corriere
Adriatico”.
L’abito di Balla è esposto accanto ad alcune eccentriche e geniali creazioni di
quegli anni di Salvatore Ferragamo, prestate dal Museo Salvatore Ferragamo
di Firenze: le sue calzature sono piccole e preziose sculture emblema
dell’invenzione più ardita in quel settore, veri oggetti d’arte destinati a
essere indossati da molte donne famose dell’epoca, come Indira Devi, Maharani
di Cooch Behar.
Inoltre, la “cultura dell’apparenza” – che rende Tamara de Lempicka la massima
espressione di dandysmo declinato al femminile dell’epoca déco – è “riassunta”
in una “vetrina del lusso” creata con stile anni Trenta, che raccoglie un
tripudio di cappelli – tra cui due esempi della sua modista preferita, Rose
Descat – e accessori che raccontano l’eleganza di allora, provenienti da
collezioni pubbliche e private.
TAMARA DE LEMPICKA E LA MUSICA
Il rapporto della Lempicka con la musica è rimasto finora sullo sfondo di una
vita e di un’arte in cui le molteplici connessioni con la cultura del suo tempo
si intrecciano con lo studio costante dell’arte del passato. Questo modus
operandi è alla base del suo stile artistico, unico, inimitabile,
immediatamente riconoscibile, una commistione di “antico” e “moderno”, un
mélange di cultura alta e cultura popolare. Il medesimo orientamento, eclettico
e privo di barriere, lo si riscontra nei suoi gusti e nelle sue frequentazioni
musicali.
Amò la musica del passato: la lirica (Bizet, Puccini, Verdi e sopra ogni altri
Wagner), il nume polacco Chopin, Schubert. Ritrasse Bianca Bellincioni Stagno,
soprano che aveva debuttato nel 1913 a Graz come Cio Cio San in Madama
Bufferly, figlia di Ruggero Stagno e Gemma Bellincioni – primi interpreti di
Cavalleria rusticana di Mascagni -, e sposata al figlio dell’editore musicale
Ricordi. Il disegno, risalente al 1925, è in mostra nella prima sezione. La
Lempicka la conobbe a Milano, quando allestì la sua prima personale in quella
Bottega di Poesia che fu anche casa editrice musicale, gestita da Walter
Toscanini e dal conte Emanuele Castelbarco.
L’artista rimase sempre legata alla San Pietroburgo di inizio Novecento che
l’aveva vista spettatrice di balletti al Mariinsky, amò i Balletti russi di
Diaghilev, ma frequentò anche i più popolari cabaret parigini creati dagli
esuli della rivoluzione in cui si esibivano danzatrici in costumi russi: una
tela del 1924-1925, Ballerina russa, testimonia questo tenace legame con la
Russia.
Affetta da quella che Boccioni aveva chiamato “modernolatrie”, la Lempicka
frequentò il gruppo futurista che viveva a Parigi: Marinetti, Monarchi,
Prampolini; a uno di loro, il marchese Guido Sommi Picenardi, fu legata
sentimentalmente per un periodo: e il marchese era un noto musicista futurista.
Autore di musiche per mimodrammi, messi in scena dalla compagnia Balli russi
Leonidoff, fondata dalla ballerina Elena Pisarevskaja, o diretti da Bragaglia,
partecipò a uno degli eventi dell’epopea futurista a Parigi, la nascita del
“Théâtre de la Pantomime futuriste”, diretto da Maria Ricotti ed Enrico
Prampolini, componendo le musiche de Il dramma della solitudine, messo in scena
nel 1927 al Théâtre de la Madeleine, con l’orchestra di Russolo.
Cultura alta e cultura popolare erano le radici del particolare linguaggio
pittorico della Lempicka, e cultura alta e cultura popolare era la musica che
amava. E dunque, a Parigi frequentò i locali jazz in cui si esibiva Joséphine
Baker, amò le facili musiche del charleston del tango e del fox-trot che
rallegrarono “la decade dell’illusione”, passò molte serate a La Vie
Parisienne, un locale per sole donne gestito da una delle sue amanti, in cui la
cantante Suzy Solidor, indimenticata Lily Marlene francese, intonava canzoni
bretoni.
Questo variegato sottofondo musicale accompagna un percorso che, come scrive la
curatrice Gioia Mori, è “da esplorare come se si viaggiasse in universi
paralleli”.
Tamara de Lempicka, espressione d’indipendenza, eleganza e modernità, grande
ammiratrice di Greta Garbo, si muove con la disinvoltura di un’attrice in due
brevi film del 1930 e del 1932. La pellicola del 1930 la coglie in
compagnia della sua storica amante, Ira Perrot, in giro per Parigi; il breve
film del 1932 esplora lo studio della Lempicka e la coglie nella vita di tutti
giorni, fatta di lavoro e cura della propria immagine, in una solitudine
spezzata solo dalla presenza di una modella d’eccellenza, la cantante Suzy
Solidor, e un maggiordomo cinese.
Un viaggio, dunque articolato, approfondito, affascinante, suggestivo e
irripetibile nel mondo di Tamara de Lempicka, simbolo di eleganza e
trasgressione, indipendenza e modernità.
L’Opera diventa Museo: un connubio di arte visiva e musica, che trova nel Museo
della Fondazione Arena di Verona un luogo privilegiato. Nato con l’idea di
completare l’esperienza lirica in una città consacrata all’Opera, AMO si pregia
di una collezione interna derivata da un vasto archivio storico che
periodicamente è messo in mostra attraverso selezionati pezzi che legano il
palcoscenico a una visione museale: un luogo in cui “l’Opera diventa Museo”
attraverso costumi di scena e scenografie areniane, immagini d’epoca e voci
d’altri tempi. Ma ciò che lo rende unico è la versatilità degli spazi e delle
arti messe in mostra, che si intrecciano a formare un percorso articolato e
completo, in cui la ricchezza dell’arte in tutte le sue forme trova il posto
ideale per mostrarsi ai visitatori.