ROBERTO SAVIANO A TV TALK
“Per me il rischio più grande era diventare un simbolo, che è una responsabilità anche lusinghiera in molti casi, ma a un certo punto non ne potevo più perché era come dovessi essere una testa d’ariete per ogni battaglia civile e sociale, perdendo tutto l’aspetto della ricerca sul territorio, anche per la vita difficile che mi impedisce di essere nelle cose. Avevo voglia di tornare a raccontare e non essere bandiera politica”. Lo ha detto Roberto Saviano ospite di “Tv Talk”, il programma di Rai Cultura, condotto da Massimo Bernardini, in onda sabato 9 gennaio alle 15.00 su Rai3. Nella lunga intervista Saviano si sofferma sul suo ultimo speciale “Imagine” trasmesso il 28 dicembre scorso da Deejay Tv. “Con “Imagine” ho cercato, attraverso la fotografia, ovvero qualcosa di immobile, di raccontare la velocità, l’infinita mobilità della comunicazione oggi. Ma volevo prendere tempo, prendermi tempo per approfondire. Tutta la narrazione che cerco di fare in televisione è basata su questo, cioè sul tempo. La velocità di un post, la velocità di un commento, le news a pioggia non permettono di capire, io volevo invece provarci. Quando ho deciso di fare questo programma ho posto un’unica condizione, andare in contemporanea sull’online. Oggi le televisioni, gli editori, i produttori considerano l’on line un concorrente: chi ti sta vedendo online non ti sta vedendo in tv, quindi tu stai perdendo share. Non è così, è un cortocircuito folle, invece sono pubblici diversi che si interscambiano e si rimandano l’uno con l’altro”.
Saviano ha fatto anche riferimento a due personaggi per lui particolarmente importanti per la propria formazione: il maestro Manzi ed Enzo Biagi. “La televisione di Manzi – dice Saviano – l’ho conosciuta attraverso l’insegnamento di Danilo Dolci che è un mio maestro: incontrare l’altro attraverso il tempo e la parola. Per cui anche se hai una posizione che chi sta ascoltando non condivide, devi costruire un racconto in modo tale da essere accolto, anche se non condiviso”. Di Biagi ricorda invece l’intervista a “RT”, del 2007 . “Le sue interviste sono fondamentali. Dietro, c’era tutto il suo metodo. Lui cercava continuamente non una dichiarazione dell’ospite che potesse finire nelle agenzie e far riprendere l’intervista, ma lasciava che lo spettatore capisse qualcosa in più, vedendo la sua trasmissione”.
Saviano si è soffermato anche sui talk show e sul trattamento della cronaca in generale . “I programmi di cronaca cercano di portarti a tifare, dividono tra innocentisti e colpevolisti e per far questo invece puntano su elementi di superficie, su sensazioni. Io non li seguo se non “Un giorno in pretura” perché racconta il male entrando nel meccanismo della giustizia e del processo”.