Da
2 al 14 febbraio al Teatro Argentina di Roma
Ti
regalo la mia morte,
Veronika
carpio, piseddu, acca ph brnuella giolivo |
traduzione
e adattamento di Antonio Latella e Federico Bellini
tratto
dal filmVeronika
Voss
diRainer
Werner Fassbinder
regiaAntonio Latella
conMonica Piseddu(Veronika Voss)
e
in o.a.:Valentina
Acca (Henriette
/ Margot), Massimo
Arbarello (ombre),Fabio Bellitti
(ombre),
Caterina
Carpio (Grete
/ Maria), Sebastiano
Di Bella (ombre),Estelle Franco
(Dottoressa Katz / Martha),
Nicole
Kehrberger (Josepha
/ Emma),Fabio
Pasquini (Capo
– Coro, Ebreo, Regista),
Annibale
Pavone (Robert
Krohn),Maurizio
Rippa (Capo
Polizia / Elvira)
Produzione
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Utilizzo
della sceneggiaturaDie
Sehnsucht der Veronika Voss di
Peter Märthesheimer e Pea Fröhlich, da una bozza di Rainer Werner
Fassbinder, per gentile concessione della Fondazione Rainer Werner
Fassbinder – Berlino e di Verlag der Autoren – Francoforte sul Meno
/ Germania.”
“Per
gentile concessione di Arcadia & Ricono Srl a socio unico, via
dei Fienaroli, 40 – 00153 Roma – Italy”
Antonio
Latellaincontra nuovamente la poetica diRainer
Werner Fassbinderportando in scenaTi
regalo la mia morte, Veronika,
dal2al14
febbraioalTeatro
Argentina.
Un lavoro che il regista di origine napoletana ha riscritto con il
drammaturgoFederico
Belliniispirandosi liberamente all’opera cinematografica diFassbinder.
Dopo
il pluripremiatoUn
tram che si chiama desiderio,
Latella prosegue la propria analisi nell’universo femminile con uno
spettacolo che rilegge i miti del cinema occidentale e ne indaga le
icone che essi hanno regalato alla memoria collettiva, senza
dimenticareFrancamente
me ne infischio,
personale rilettura diVia
col ventoche ha recentemente impegnato il regista nel confronto con un film
chiave della storia popolare del cinema occidentale. Latella ritrova
la poetica di Rainer Werner Fassbinder a distanza di quasi dieci
anni: era infatti del 2006 la sua rilettura teatrale diLe
lacrime amare di
Petra von Kant. “Oggi
mi rendo conto che mi piace affrontare Fassbinder perché mi sembra
di avere finalmente capito la sua dimensione di autore classico. È
cambiato l’approccio, il desiderio di non pensarlo più come autore
alternativo, o, peggio, trasgressivo, quanto come inventore di un
nuovo linguaggio teatrale e cinematografico– dichiara Antonio Latella –oggi
sono consapevole del suo rapporto con Cechov, con Goldoni, con la
tragedia greca; questo mi porta a confrontarmi con lui in modo più
adulto, cercando di evitare la provocazione per tentare di
restituirgli la potenza del grande classico. Senza rinunciare,
naturalmente, a provare a ricreare parte del clima non certo
rassicurante che lui stesso creava nel suo contesto storico. Rispetto
a “Le lacrime amare di Petra von Kant”, credo che questo sia uno
spettacolo più fassbinderiano, se vogliamo usare questo aggettivo,
proprio perché non è affatto consolatorio”.
La
base di questo nuovo lavoro non è però un testo teatrale
dell’autore bavarese, ma parte dell’opera cinematografica che
Fassbinder ha dedicato alla rappresentazione e all’analisi della
donna. Partendo dalla rievocazione della vicenda di Veronika Voss,
ultima tra le protagoniste del suo cinema, lo spettacolo incontra
alcune tra le figure femminili grazie alle quali il regista ha
consegnato forse una grande, unica opera in cui sguardo
cinematografico e biografia personale tendono inevitabilmente a
coincidere. Una corsa folle, senza protezioni, una prolungata
allucinazione dove realtà e finzione diventano quasi
indistinguibili. Entriamo così nella mente di Veronika, diva sul
viale del tramonto e vittima della morfina somministrata da medici
senza scrupoli, dove i ricordi e i personaggi rievocati diventano
apparizioni in bianco e nero, il nero come forma perfetta che
fagocita gli altri colori e il bianco della purezza ma anche del
lutto. E, inevitabilmente, il bianco della morfina che trasforma le
memorie in gratificazioni, deforma ogni percezione fino a rendere
accettabile la morte come possibilità o liberazione. Un viaggio in
cui Veronika e le altre eroine del cinema fassbinderiano regalano il
proprio sacrificio al loro ideatore, il regista, il medico ma anche
il carnefice Fassbinder, a sua volta, probabilmente, personaggio del
suo stesso dramma.