Classe 1952, originario di Canicattì, uomo mite e religioso,
magistrato
appassionato. Negli anni Ottanta, come giudice del tribunale di
Agrigento, mette in ginocchio la “stidda”, applicando i metodi
investigativi di Giovanni Falcone. A Rosario Livatino, assassinato a 38
anni dalla criminalità organizzata, Rai Cultura dedica la puntata di
“Diario Civile” dal titolo “Il ragazzo con la toga”, in onda mercoledì
20 aprile alle 21.30 su Rai Storia, con un’introduzione del Procuratore
Nazionale Antimafia, Franco Roberti.
Il documentario, firmato da Alessandro Chiappetta, con la regia di
Leonardo Sicurello, vuole rendere omaggio a un protagonista della lotta
alla mafia spesso poco ricordato, raccontando la sua vita familiare, la
sua fede e le vicende legate al suo omicidio.
“Livatino è ricordato oggi come il “giudice ragazzino” – sottolinea il
Procuratore Franco Roberti nella sua introduzione al documentario – “un
termine che sollevò polemiche all’epoca, ma che oggi sembra assumere un
significato diverso sottolineando la passione e la tempra di giovani
servitori delle istituzioni, come è stato lui stesso nella sua breve
vita”.
Il racconto parte dalla testimonianza di tre giovani magistrati
siciliani, assegnati al Tribunale di Enna nel novembre 2015. Stefania
Leonte, Giovanni Romano e Francesco Lo Gerfo, impegnati in una Sicilia
molto diversa da quella del giudice Livatino, leggono un discorso tenuto
da Rosario Livatino nel 1984 , intitolato “Il ruolo del giudice in una
società che cambia”. Il testo dice: “L’indipendenza del giudice,
infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà
morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio,
nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e
linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella
trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio,
nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella
vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità
a iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella
rinunzia a ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori
che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono
produrre il germe della contaminazione e il pericolo della
interferenza”.
“Leggendo le sentenze di Livatino si rimane colpiti dall’ampiezza del
suo raggio di osservazione perché va dai dati più minuti della vita
quotidiana di un indagato di mafia, fino al movimento di denaro”,
sottolinea Nando Dalla Chiesa, autore del libro, poi diventato film, dal
titolo “Il giudice ragazzino”.
Nella ricostruzione della storia di Livatino non può mancare il ricordo
di amici e parenti che lo descrivono come legatissimo ai genitori e
devoto alla Chiesa. Anche per questo è stato avviato nel 2011 il
processo di beatificazione del giudice che dovrebbe arrivare – come si
augurano i suoi compaesani, tra cui Don Giuseppe Livatino, arciprete di
Raffadali, e Monsignor Pietro Licalzi, arciprete di Canicattì – alla
santificazione.
Tra le testimonianze, infine, gli ex colleghi, come Luigi D’Angelo, già
presidente del Tribunale di Agrigento, Salvatore Cardinale, Presidente
della Corte d’Appello di Caltanissetta e Luisa Turco, Presidente di
Corte d’Assise di Agrigento. Con loro, il giornalista Gero Tedesco e
Giuseppe Pallilla, compagno di scuola di Livatino.