Greg Rook Honyocker 4 aprile – 5 maggio 2019 – Fabbrica del Vapore

The ne’er-do-wells

Dal 4 aprile al 5 maggio 2019 lo spazio V&A presso la Fabbrica del Vapore presenta, per la primavolta in Italia, la mostra dedicata all’artista britannico Greg Rook, mettendo di nuovo l’Inghilterra

sotto la lente d’ingrandimento, nella sua missione di ricerca e apertura rivolta alle arti visive dei

cinque continenti. La Mostra Honyocker segue una serie di esposizioni dedicate ad artisti

internazionali quali Axis London–Milano (2017) di Alan Rankle, Emblemes du Pouvoir (2018) di

Mourtala Diop, Alphatype (2019) di Lorenzo Marini, Amami (2019) di Bios Vincent.

Greg Rook è nato a Londra nel 1971, ha studiato alla Chelsea School of Art, per poi proseguire al

Goldsmith College, sempre a Londra. Oggi è direttore di uno dei corsi di laurea in Fine Art alla

London South Bank University. Dopo il percorso di studi si è dedicato alla televisione,

intraprendendo un percorso lavorativo per la creazione di documentari e serie con la BBC. È in

questo frangente che realizza di volere raccontare delle storie in modo diverso, più personale:

sceglie dunque di abbandonare la videocamera per tornare alla pittura. Le sue fonti d’ispirazione

diventano i vecchi giornali, le fotografie, i documentari e alcune serie televisive degli anni Settanta.

Survivor e The Good Life (1975) in particolare hanno avuto un forte ascendente su alcuni dei suoi

dipinti più noti.

Nei suoi lavori sono ricorrenti alcune tematiche che utilizza per mettere sotto accusa, in modo

velato e talvolta allegorico, la società attuale, le sue regole globali e la condotta di vita comune.

Per farlo, propone dipinti in cui raffigura immagini/frame di stili di vita alternativi, in cui i dogmi

universalmente condivisi – ed esasperati dopo la rivoluzione digitale iniziata nel 1990 – sono

cancellati da un ritorno alla natura, intesa non romanticamente come luogo di contemplazione e di

accoglienza bucolica, ma quale habitat naturale in cui l’uomo si mette alla prova con le proprie

capacità per sopravvivere. Da qui il tema della wilderness (natura selvaggia), da Rook sviluppato

in immagini che ritraggono scene di lavoro all’aperto nei boschi, compiute da uomini che sono

intenti in attività manuali. Fotorealismo, modernismo, fotografico e decorativo, realistico e pittorico

sono gli stili che si uniscono nei suoi dipinti. Se a una prima occhiata possono apparire tranquille

scene di vita agresti, i dipinti nascondono sempre qualcosa di inquietante, un rifiuto della società e

la ricerca di modi di vita alternativi. Sono dipinti ingannevolmente benigni: la loro rappresentazione

del cuore dell’America potrebbe sembrare rassicurante, forse anche celebrativa, ma in agguato

sullo sfondo permane come leitmotiv una storia di violenze e illusioni, in cui i sogni di un passato

idealizzato possono trasformarsi in incubi viventi.

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Il corpus dei lavori che Rook presenta in Honyocker – la prima indagine completa dedicata al suo

lavoro – diventa l’occasione per confrontarsi con le problematiche e le complessità che

accompagnano il desiderio di un “ritorno alla terra”. Il titolo della mostra si deve alla parola

Honyocker che – come scrive Michele Robecchi nell’introduzione al catalogo della mostra

coprodotto da V&A e Anomie – «È un termine gergale peggiorativo ed insultante comunemente

usato in America nel diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo per riferirsi a coloni e nuovi

arrivati che lottavano e riuscivano a lavorare correttamente la terra».

Nei suoi lavori sono sempre presenti le idee relative a temi dell’emigrazione, dell’esodo, a come le

persone trasformano le proprie vite o ne creano di completamente nuove. E, in particolare, a come

le persone attraverso il tempo, lo spazio, le culture, le ideologie hanno esplorato, e continuano ad

esplorare, modi alternativi di vivere.

Quella di Greg Rook è una pittura essenziale, che riporta l’uomo di fronte al proprio essere e alla

propria esistenza. In questo contesto, il cowboy americano, diventa per lui l’emblema del suo

“nuovo” uomo: la vita all’aperto, solitaria, e l’utilizzo delle capacità fisiche per il proprio

sostentamento diventano le sue parole chiave. Nel dipinto The Ne’er-do-wells (2001) un gruppo di

uomini, tutti vestiti di jeans, stivali, cappello e maglietta, sembrano messi in posa davanti a una

macchina fotografica fuori da una casa di pietra. Sono dei cowboy moderni, forse – come suggerito

dal titolo del dipinto – emarginati o fuorilegge che per qualche motivo sono obbligati a vivere

insieme al di fuori della società normale. Si nota che le donne sono assenti dalla scena, come del

resto dall’intera mostra, e questo fatto porta a riflettere su come emergano forme di società

dominate dagli uomini e di tipo patriarcale.

Del 2008 è il dipinto Where the wind blows in cui Rook presenta un interno domestico molto

modesto ed essenziale – quasi da immaginario romantico – in cui colpisce e stona il dipinto di

Leonardo da Vinci L’Ultima Cena appeso alla parete. Appoggiato in un angolo, ma bene in primo

piano, si vede un fucile, un richiamo evidente al ruolo delle armi e della religione negli Stati Uniti.

La serie di dipinti maggiore è quella di And this, too, shall pass away (2009), citazione di una frase

attribuita ad Abramo Lincoln. Fanno parte della serie 14 tele, in parte ispirate alle quattordici

stazioni della crocifissione di Cristo. La serie rappresenta il senso di estremo dolore e sofferenza di

Cristo, trasposto da Gerusalemme a un desolato paesaggio invernale americano. Gli alberi sono

spogli, come se il mondo fosse morto, la luce è pura anche se tragica. Nei diversi dipinti che

compongono la serie c’è un senso di grande brutalità: in uno, in particolare, dozzine di corpi

giacciono con la faccia rivolta a terra, alcuni coperti. Qualcosa di terribile è successo e lo

spettatore si trova ad osservare senza sapere il perché. Una reminiscenza delle guerre civili, di

dispute nazionali e internazionali, di barbarie subite dai popoli, o ancora di suicidi di massa.

Nel 2012 Rook, per una mostra alla MNT Gallery di Londra, presenta una serie di lavori intitolata

Survivor. Il titolo deriva da una serie televisiva della BBC che raccontava la vita di un esiguo

gruppo di gente sopravvissuto a un’epidemia virale avvenuta in seguito a un incidente in un

laboratorio scientifico. Un collasso della civiltà moderna la cui conseguenza era il ritorno a una vita

dedicata ai bisogni di prima necessità, all’allevamento, all’agricoltura. Lo stesso scenario si ritrova

nel dipinto The Corrfield (2015) in cui i protagonisti sono invece giovani hippie, new age o hipster,

che intenzionalmente scelgono uno stile di vita alternativo in una comunità, lavorando nei campi,

per fuggire ai dogmi della società. Le luci sono secche, quasi fotografiche o addirittura

iperrealistiche, ma c’è sempre un taglio ruvido che riflette i concetti dai quali Rook parte per

realizzare i suoi dipinti.

«La ragione che mi ha spinto a produrre la Mostra “Honyocker” presso la Fabbrica del Vapore nel

quadro del Progetto Spazi al Talento del Comune di Milano non poteva essere nota nemmeno

all’artista Greg Rook. Si tratta della passione alimentata negli anni ’70 ed ’80 per un corpo

letterario e cinematografico statunitense, forse considerato di genere ma certo molto accattivante:

stiamo parlando della weird fiction americana, iniziata in particolare da H.P. Lovecraft negli anni

‘20 e dal suo antesignano R.W. Chambers. Le lenti fornitemi da Lovecraft hanno permesso

immediatamente di intravedere nei quadri di Rook, solo apparentemente benevoli e pacifici, un

malessere ed un tormento assai intensi, che ricordavano facilmente proprio il cosmicismo del

Solitario di Providence. Inoltre, proprio negli anni ’70, complice la rivoluzione beat e hippy del lustro

precedente, vi era stata una fioritura di produzioni cinematografiche horror di pregio, fondamentali

per comprendere un certo tipo di violento contrasto culturale, peraltro sottilmente presente anche

in Rook. Citiamo solo due opere a rappresentarne decine: The Texas Chain Saw Massacre di

Tobe Hooper (1974), The Hills Have Eyes di Wes Craven (1977).» – Andrea Vento,

Amministratore Unico V&A.

INFO

Sede

Spazio V&A Fabbrica del Vapore Via Procaccini 4, 20154 Milano

T. +39 02 36744405

info@ventoeassociati.it www.ventoeassociati.it

Orari

Giorni festivi: 15.00-19.00

Giorni feriali: 10.00-19.00

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